Un muro, in fin dei conti, non lo si nega a nessuno. E nel caso se ne fosse sprovvisti, si procede, mattoni, cemento e cazzuola alla mano. Così il governo ungherese, forse invidioso dei tanti, troppi muri ancora presenti nel mondo – da Cipro a Belfast, fino a Betlemme, Ceuta e Melilla o alla frontiera tra Messico e Usa – ha deciso di erigere una barriera antiprofughi, dando il via alla costruzione di un bastione alto quattro metri, lungo 175 chilometri, che percorrerà tutta la frontiera con la Serbia. Il premier di Budapest, Viktor Orban, non è nuovo a iniziative di questo genere, tanto che le istituzioni europee e diversi Stati vicini hanno più volte sollevato dubbi sul rispetto delle regole democratiche, dei diritti fondamentali e del manuale delle buone maniere che dovrebbe caratterizzare i rapporti politici e diplomatici tra le nazioni. Pare, ad esempio, che in Serbia il nuovo “muro della vergogna” non sia stato preso proprio come un gesto amichevole. E forse non a caso nello stesso giorno dell’annuncio ungherese sono giunte dal Papa parole chiare: “Chiedete tutti perdono per le istituzioni e le persone che chiudono le loro porte a gente che cerca aiuto”.
Del resto ci sono muri di mattoni e muri eretti con le leggi, le polizie, i pattugliamenti marini, il populismo… Non è forse un “muro doganale” quello che la Francia sta imponendo ai confini con Ventimiglia, in spregio alle regole di Schengen? E non è un “muro antisolidale” quello che il Regno Unito ha innalzato rispetto ai migranti che giungono sul Continente, sostenendo – in parole povere – che ciascuno si tiene i suoi profughi? Su altro versante esiste probabilmente un “muro monetario”, che va imponendosi, giorno dopo giorno, tra Grecia ed Eurolandia, fatto di reciproci aut-aut che non stanno portando una soluzione efficace al rischio-default di Atene, ponendo a rischio non solo la moneta unica ma l’intero edificio comunitario.
Risposte non ce ne sono. E semmai aumentano gli interrogativi. Uno dei quali recita così: come mai quando Francia, Regno Unito, Ungheria e l’Italia stessa prospettano atteggiamenti più severi verso i profughi, siano essi nordafricani oppure mediorientali, il flusso dei barconi che solcano il Mediterraneo tende subito a diminuire? È lecito pensare che dietro ai migranti ci sia, oltre che la legittima voglia di fuggire dalla fame e dalla guerra, una occulta e ben organizzata regia, che fa della tratta di esseri umani un business opulento e senza scrupoli, che diventa un’arma politica per mettere ulteriormente in crisi un’Europa già sotto pressione?