Un viaggio per “venerare la Sindone e onorare la memoria di don Bosco”, ma anche per ritrovare le radici di un “nipote di questa terra”, come lui stesso si è definito. La terra di nonna Rosa e nonno Giovanni, che si sono sposati nella chiesa di Santa Teresa, mèta di una sosta fuori programma per lasciare una dedica su una pergamena e far risaltare il valore dei nonni, del battesimo, delle famiglie, e pregare in particolare per il prossimo Sinodo. Nella prima giornata a Torino, il Papa “venuto dalla fine del mondo” è tornato a casa. Ed è stato accolto da circa 200mila persone che, tra mattina e pomeriggio, hanno gremito fino all’inverosimile Piazza Vittorio, il salotto buono della “movida” cittadina, teatro di due momenti culminanti della giornata del 21 giugno: la celebrazione eucaristica iniziale e la “mini-Gmg” nel tardo pomeriggio, dove Francesco ha messo da parte il testo scritto – come aveva già fatto durante l’incontro con la famiglia salesiana nella basilica di S. Maria Ausiliatrice – per dialogare più di un’ora a tutto campo con i giovani, chiedendo loro – ma non da “moralista “ – di “vivere casti” e di “fare controcorrente”, per contrastare la nostra società fatta di “bolle di sapone”. “Vivete, non vivacchiate”, il suo invito sulla scorta di Piergiorgio Frassati: non si può andare in pensione a vent’anni. Il Papa ha tenacemente voluto cominciare il viaggio con il discorso rivolto al mondo del lavoro, dove sulla scorta dell’Enciclica appena pubblicata ha pronunciato un triplice “no” alla “economia dello scarto”, all’idolatria del denaro e alla corruzione e ha ammonito che “non si può solo aspettare la ripresa”: ci vuole un “patto sociale e generazionale” che parta da Torino, prima capitale d’Italia: “Coraggio, siate artigiani del futuro”. Molti, durante la giornata, i riferimenti ai tratti peculiari dei piemontesi, “razza libera e testarda”, come i santi sociali: “Teste quadre, polso fermo e fegato sano, parlano poco ma sanno quel che dicono, anche se camminano adagio, vanno lontano”. È una poesia del piemontese Nino Costa. Nonna Rosa l’ha insegnata a memoria al piccolo Jorge nella versione originale in dialetto, e ora il Papa la custodisce nel suo breviario, insieme al testamento della nonna. La cantavano coloro che dal Piemonte emigravano nelle Americhe, prima di salpare.
“Fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni in cui esseri umani vengono trattati come merce”. È una delle aggiunte a braccio del primo discorso del Papa, pronunciato a Piazzetta Reale per l’incontro con il mondo del lavoro. “La pace che Lui ci dona è per tutti: anche per tanti fratelli e sorelle che fuggono da guerre e persecuzioni in cerca di pace e di libertà”, ha aggiunto nell’omelia della Messa in piazza Vittorio. “Non possiamo uscire dalla crisi senza i giovani, i ragazzi, i figli e i nonni”, ha esclamato sempre fuori testo: “I figli e i nonni sono la ricchezza e la promessa di un popolo”.
La Sindone “di carne”. Dopo il discorso sul lavoro in Piazzetta Reale, il Papa ha raggiunto a piedi la cattedrale per la venerazione della Sindone. In duomo Francesco si è trattenuto circa un quarto d’ora in preghiera, prima seduto e poi in ginocchio. Solo il Sacro Telo era illuminato, sull’altare disadorno due ceri accesi. Alla fine il Papa si è alzato e a mo’ di congedo ha toccato il vetro che protegge la Sindone. Uscito dalla cattedrale, il Papa è salito sulla “papamobile” che doveva portarlo a Piazza Vittorio Veneto, luogo della Messa, percorrendo tutta via Po. Pochi minuti dopo, però, quando era ancora in Piazzetta Reale, il Papa ha visto un gruppo di malati e di disabili, ha fatto fermare la jeep bianca scoperta ed è sceso a piedi per salutarli, baciarli e accarezzarli uno per uno. Molti di loro erano in carrozzella. Una “mini udienza generale” per toccare, con mano, la “Sindone di carne”.
A pranzo con “gli ultimi”. In arcivescovado il secondo “fuori programma” della giornata: è sceso, anche questa volta, dalla papamobile per salutare alcuni fedeli che lo reclamavano dalle transenne. Francesco ha pranzato con i giovani detenuti del Carcere minorile “Ferrante-Aporti”, con alcuni immigrati e senza fissa dimora, e con una famiglia Rom.
I salesiani, i “mangiapreti” e il demonio. Nella basilica di S. Maria Ausiliatrice, il primo atto dell’incontro con la famiglia salesiana è stato la sosta in preghiera davanti alle spoglie di san Giovanni Bosco, collocate sotto l’altare. Poi il Papa ha consegnato il testo che aveva preparato – “è troppo formale” – e ha parlato a braccio, per circa mezz’ora, della sua “esperienza personale” con i salesiani, dichiarandosi “tanto riconoscente” per quello che “hanno fatto con me e con la mia famiglia”. Oggi ci vuole una “educazione a misura della crisi”, e “il vostro carisma è di un’attualità grandissima”, ha detto ai figli e alle figlie di don Bosco: in questa regione d’Italia, a fine Ottocento, c’erano “mangiapreti, anticlericali, demoniaci”, eppure “quanti santi sono usciti!”. Quello di oggi “è un momento di crisi brutta, anti-Chiesa, ma don Bosco non ha avuto paura”. “Oggi tante cose sono migliorate, c’è il computer, ma la situazione della gioventù è più o meno la stessa”: il 40% dei giovani, dai 25 anni in giù, è senza lavoro. I ragazzi di strada oggi hanno bisogno di “un’educazione d’emergenza, con poco tempo, per un mestiere pratico”.
Gli “anticorpi” del Cottolengo. “Sviluppare degli anticorpi contro questo modo di considerare gli anziani, o le persone con disabilità, quasi fossero vite non più degne di essere vissute”. È l’appello rivolto da Francesco nella chiesa del Cottolengo. Tra le “vittime della cultura dello scarto”, ci sono in particolare gli anziani, la cui longevità viene vista “come un peso”. “Questa mentalità non fa bene alla società”, il grido d’allarme del Papa: “Qui possiamo imparare un altro sguardo sulla vita e sulla persona umana!”.