Il tema dell’immigrazione verso l’Europa tiene banco. In Danimarca vince la coalizione che vuole bloccare gli accessi nel paese. In Spagna sembra che si vogliano alzare di ulteriori due-tre metri le reti nell’enclave spagnola di Melilla, in Marocco, per impedire del tutto ai giovani africani giunti sino lì di scavalcarle. A Calais, sulla costa francese della Manica, i controlli si fanno iper-tecnologici con sensori che avvertono la presenza di clandestini sui camion diretti in Gran Bretagna. Al confine di Ventimiglia i gendarmi francesi vigilano perché nessuno dei migranti in attesa sugli scogli italiani riesca a passare verso Mentone. Lo stesso controllo serrato avviene ai confini con Austria, Svizzera, Germania. In Ungheria si pensa a un muro anti-migranti con la Serbia di 175 chilometri. Rimangono Italia e Grecia, nazioni con migliaia di chilometri di coste, dove è facile giungere per le decine di barconi che partono dai paesi nord-africani. Questo a oggi il fenomeno-immigrazione, affrontato spesso anche in Italia con pregiudizi ideologici o moralistici. Due i rischi che si corrono e tra loro opposti: da un lato il “buonismo” di chi vorrebbe far passare tutti, dall’altro la chiusura pregiudiziale di chi sostiene che non ci sono risorse sufficienti per gli italiani. Ci sarebbe una terza prospettiva, poco praticata: quella di valutare cosa rappresenti oggi l’immigrazione per l’Italia, quale peso economico e sociale abbiano gli immigrati regolari, quanto spazio ci sia nel mondo del lavoro per eventuali nuovi arrivi o l’accoglienza di coloro che fuggono dalle guerre e persecuzioni (Siria, paesi sub-sahariani, Eritrea ecc.).
La percezione culturale del fenomeno. Andando alla ricerca di dati e riscontri, si scopre anzitutto che gli italiani posseggono una percezione alquanto distorta sul peso e ruolo degli immigrati. Il Cisf (Centro internazionale studi famiglia) diretto da Francesco Belletti, ha sviluppato una ricerca dal titolo “Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione”, intervistando 4mila persone. Emerge che il 52% è d’accordo sul fatto che gli immigrati sono necessari per fare il lavoro che gli italiani non vogliono più fare, l’80% ritiene che se c’è poco lavoro gli italiani dovrebbero avere la precedenza, il 47% pensa che i figli di immigrati (più prolifici di noi) sono essenziali per compensare le nostre nascite sempre più scarse. E ancora il 78% dice che le case popolari andrebbero date per primi agli italiani; il 58% ritiene che i matrimoni misti producano maggiori conflitti e problemi; il 73% pensa però che le unioni miste favoriscano l’integrazione culturale e il 71% che il ricongiungimento culturale crei integrazione sociale. Il campione analizzato dal Cisf vede un 35,5% di “ostili” agli immigrati, un 35,3% di “problematici” e solo un 29,2% di “aperti”. Se oltre il 70% degli italiani hanno forti dubbi sull’immigrazione, il recente progetto “Integra. Famiglie in azione per una società interculturale”, condotto dal Forum famiglie in 7 regioni, ha mostrato che laddove si attuano concrete azioni di sensibilizzazione e dialogo, cambiano gli atteggiamenti sia degli italiani sia degli immigrati. Ma il percorso è lungo e difficile.
Il peso economico dell’immigrazione. Dalla ricerca della Fondazione Leone Moressa, diretta dal prof. Stefano Solari, economista dell’università di Padova, emerge che sul totale di circa 5 milioni di stranieri presenti sul suolo italiano i contribuenti sono ben 3,5 milioni e hanno dichiarato 44,7 miliardi di euro, pari al 5,6% del totale dei redditi. In media ciascuno di loro ha dichiarato 12.930 euro, quasi 7.500 in meno della media italiana. Gli imprenditori stranieri sono oltre 600mila, l’8,2% del totale delle imprese italiane (per lo più piccole imprese commerciali e di servizio con pochissimi addetti) che producono il 6,1% del valore aggiunto nazionale (pari a 85,6 miliardi). Gli stranieri hanno intestate 2,8 milioni di auto e danno allo Stato un gettito pro-capite di 300 euro di sole imposte sui trasporti (840 milioni l’anno). I contributi Inps sono il 4,2% del totale per oltre 9 miliardi di euro, che sommati al gettito fiscale rappresenta un totale di 16,5 miliardi che entrano nelle casse pubbliche. Il calcolo della Fondazione Leone Moressa è che a fronte di questi 16,5 miliardi in entrata, lo Stato spenda per loro 12,6 miliardi (sanità 3,7; scuola 3,5; giustizia 1,8; trasferimenti economici, 1,6; servizi sociali, 0,6; casa 0,4) con uno sbilancio a favore dello Stato di 3,9 miliardi.
La “pericolosità” degli immigrati. Visti questi dati, ci si chiede quale sia il reale grado di “pericolosità” degli immigrati rispetto ai conti pubblici e alla tenuta sociale del paese. Per le pensioni, ad esempio, versano 7,5 miliardi e ne ricevono “solo” 600 milioni, cioè di fatto pagano le pensioni agli italiani anziani. Quanto alle tasse abbiamo visto come contribuiscano per quasi 8 miliardi. I loro figli sono il 15% del totale e tengono alto il tasso demografico che, altrimenti – come nota il demografo Gian Carlo Blangiardo – “vedrebbe l’Italia condannata all’estinzione”. Sono dei grossi lavoratori, questo sì, in quanto pur essendo poco più del 7% della popolazione, “occupano” il 10,5% dei posti di lavoro (escluso il sommerso), ma i loro salari sono più bassi del 15-20%. In conclusione, considerato che nel mondo i migranti sono oltre 200 milioni, il dato di averne tra noi 5-6 milioni è poca cosa sul piano statistico. Semmai bisogna interrogarsi sull’appello del Papa a non chiudere le porte… ragionando anche in termini economici e valutando i benefici che l’immigrazione rappresenta per noi.