Un disagio per chi abita in tante parti d’Italia acuito dal fatto che, praticamente, sarà la pietra tombale per la consegna postale dei quotidiani e di tanti periodici – come i settimanali diocesani – che devono arrivare a destinazione in un giorno preciso. E qui un altro diritto viene leso: quello alla libertà d’informazione. “I nostri giornali sono assimilabili a quotidiani che escono una volta a settimana”, continua a ricordare Francesco Zanotti, presidente della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), che rappresenta 190 testate diffuse in tutt’Italia, dal Nord al Sud.
Colpiti dalla crisi, tartassati dalla continua erosione dei fondi per l’editoria (che, ricorda la Fisc, non rappresentano una regalia bensì – se attribuiti correttamente a chi li merita – sono essenziali per “il pluralismo informativo”), scioccati dal brusco e improvviso rincaro delle tariffe postali di qualche anno fa, i settimanali del territorio sono stati costretti a rivedere i loro investimenti e fare i conti con bilanci sempre più in difficoltà, nonché ad anticipare la chiusura in redazione e in tipografia per far fronte al mancato recapito del sabato. E, nonostante tutto, si trovano sommersi da lettere di protesta dei lettori, giustamente indignati, per consegne postali in ritardo o a singhiozzo. Proteste, queste sì democratiche, in ogni parte d’Italia.
Di più non possono proprio fare, e se il postino arriverà veramente a consegnare un giorno sì e uno no – che, concretamente, significa lunedì, mercoledì e venerdì una settimana; martedì e giovedì nella successiva – non potranno far nulla per garantire che il giornale arrivi in tempo utile a destinazione. Rischiano concretamente di perdere quei lettori, anche affezionati, che ricevevano il giornale a casa. Per questo la Fisc ha lanciato in questi giorni una campagna social, con l’hashtag #nopianoposte. Per far sentire la voce dei territori e anche quella di chi, per ragioni culturali, anagrafiche o per semplice scelta, non ritiene “superflua” l’edizione cartacea di un giornale. Certo, nell’era del web sempre più giornali sono on line. Ma carta e digitale sono complementari, l’uno rimanda all’altra. Non ci stiamo, perciò, a questo tentativo di “zittire” la stampa libera dei nostri territori ed è ora che una buona politica faccia sentire la sua voce, cominciando dal dire no a una scelta di mercato che disprezza i diritti.