Nella pericope (breve passo estratto da un testo n.d.r.) del vangelo di Marco che la liturgia della XIII^ domenica del T.O. ci fa ascoltare si intersecano due vicende: quella di una fanciulla dodicenne, la figlia di Giairo, uno dei capi della sinagoga di Cafarnao, che viene riportata in vita da Gesù, e quella di una donna sofferente di emorragia da dodici anni che, toccando il mantello di Gesù, è guarita dal suo male. Entrambe sono donne, chiamate, nel disegno di Dio, a generare e portare avanti la vita; entrambe, però, fanno esperienza della morte, l’una colpita da malattia mortale prima dell’età delle nozze, l’altra ferita mortalmente nella sua capacità di generare: a causa delle perdite di sangue continue, ella è in perenne stato di impurità e nessuno le si può accostare, può toccarla, abbracciarla, amarla … deve tenersi lontana da tutti e, non potendo essere madre, non è più niente; la fanciulla e la donna: nei loro corpi, nel “grembo” stesso della vita è entrata la morte! Il testo della I^ lettura, tratto dal Libro della Sapienza, anticipa l’intervento di Gesù; dice, infatti,: «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi (…) Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo». Gesù, il Figlio unigenito del Padre, è il Signore della Vita e chi crede in Lui, anche se muore, vivrà (Gv 11,25). Per fede la donna emorroissa, sfidando tutti i divieti della legge, fende la folla fino a portarsi dietro a Gesù e toccare il suo mantello; è sempre la fede che avvolge a mo’ di una corazza il padre della fanciulla, facendolo passare indenne, stretto a Gesù, tra le urla, gli strepiti e la derisione degli altri, dei piagnoni di turno.
E per due volte si ripete il miracolo della vita: «Donna, la tua fede ti ha salvata» e «Fanciulla, io ti dico: alzati!». La vita è guarita dalla Vita, Gesù tocca e si fa toccare dalla nostra umanità malata e alita ancora su di noi e ci ridona vita col soffio della sua Parola. Ma proviamo a “leggere” dentro questo “miracolo” di Gesù. Dice il vangelo, riguardo l’emorroissa, che Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». In quella calca, nessuno si è accorto del gesto della donna, ma Gesù sa che una “forza” è uscita da lui, quella dynamis che lo caratterizza in quanto Signore: egli si sta spogliando della sua qualità di Dio e sta assumendo la nostra umanità (cfr. Fil 2,6-8), lasciandosi “contagiare” dalla nostra impurità: è la kenosis del Signore nostro Gesù Cristo, il quale, ci ricorda san Paolo nella II^ lettura, «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Bando ai piagnistei, allora, ed eleviamo la voce per cantare con il Salmista: «Hai mutato il mio lamento in danza, Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre».