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“Per la trasparenza essere sempre vigilanti e attenti”

Di Patrizia Caiffa

Il Papa più volte ha lanciato il monito a tenersi lontano da corruzione e malaffare. L’opinione pubblica è sconvolta dalle vicende di “Mafia capitale” e da tanti altri episodi che hanno chiamato in causa, più o meno direttamente, il mondo della solidarietà, a danno dei poveri e dei migranti. Ne abbiamo parlato con monsignor Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana.

La corruzione e il malaffare si insinuano anche tra chi lavora nel campo della solidarietà e dell’accoglienza. Qual è la risposta della Caritas?
“La risposta della Caritas è applicare ciò che è nel suo Dna, cioè mettere sempre in evidenza le cose migliori dell’umanità, tra cui la trasparenza nei confronti dei poveri che si servono e della comunità che si anima. Una giustizia a tutto tondo. La carità non avrebbe nessun senso se alla base e come struttura portante non vi fosse la giustizia”.

Quali accortezze per mettere in pratica la trasparenza?

“Essere sempre vigilanti e attenti. Non abbiamo delle ricette ma la vigilanza appartiene all’essere cristiani, lo ha ripetuto spesso Gesù nel Vangelo. Essere vigilanti soprattutto nei momenti in cui sembra che facendo qualcosa di buono le cose fluiscano naturalmente. Gesù fa l’esempio dei lupi che si possono manifestare vestiti come agnelli: nel nostro ambiente potrebbe capitare anche questo. Alla struttura caritativa, che è organismo pastorale della Conferenza episcopale, a livello di vertice, e della diocesi, a livello di Chiesa locale, spetta il compito di mettere in atto, con tutti gli strumenti possibili, a cominciare da una giusta rendicontazione, la trasparenza nei bilanci, consuntivi e preventivi, nell’essere sempre pronti a rendere conto di ciò che è stato dato: questo deve essere il timone quotidiano dell’azione della Caritas”.

Eppure, nonostante tutte queste premure, qualcuno cavalca il tema immigrazione e accusa perfino la Caritas di fare affari con i migranti…
“Un’accusa da respingere con forza, dando ragione di ciò che noi mettiamo in atto. Dobbiamo fare i conti con una sorta di speculazione delle notizie, non sempre vengono veicolate delle buone notizie”.

Si riferisce alla vicenda giudiziaria che ha coinvolto la Caritas di Teggiano-Policastro? Si parla di una truffa sui pocket money (2,5 euro) dati ai migranti accolti.

“In quella vicenda si faceva riferimento alle quote che venivano date alla fondazione o all’associazione prima del 2014. Invece dal 2014 in poi, con l’operazione Mare nostrum, i pocket money sono stati dati direttamente dalle prefetture alle persone. Un argomento che oggi depone a vantaggio del direttore della Caritas di Teggiano-Policastro, additato come uno dei responsabili dello ‘scandalo’. Riponiamo fiducia nella magistratura perché viviamo in questa società, sereni nella serietà che ci caratterizza. Però non possiamo non fare i conti con una lentezza della giustizia e nell’uso strumentale di certi mezzi in mano all’ordine pubblico, che purtroppo con l’andar del tempo, in questo e in altri campi, si sono trasformati in accuse ben precise. In questo caso ricevere un avviso di garanzia – come è successo al direttore di Teggiano-Policastro – significa essere accusati di un reato tutto da dimostrare”.

Quali consigli, quindi, ai direttori delle Caritas diocesane e a chi opera nel mondo della solidarietà?
“Consigliamo di essere cauti, avveduti, di non fidarsi e valutare se effettivamente l’ente gestore risponde ai dettami del nostro mandato. Se non vi rispondono dobbiamo certamente rimandarli al mittente”.

Altra illazione indebita: la Caritas aiuta i migranti più degli italiani…
“La Caritas aiuta tutti. Sono stato parroco e direttore di una Caritas diocesana. Quando veniva l’immigrato mi diceva che aiutavo i parrocchiani, quando veniva il parrocchiano diceva il contrario. Questo è il prezzo che volentieri ogni operatore Caritas deve pagare, perché il servizio alla carità è veramente alto e difficile”.

Di recente qualcuno ha proposto – per favorire l’integrazione in Italia – di vietare agli immigrati di usare una lingua diversa dall’italiano durante le funzioni religiose, tranne per i testi sacri. Che ne pensa?

“È una grande idiozia: l’ho detto, l’ho ripetuto e non ho paura di ripeterlo. Il rispetto della persona e del suo bagaglio culturale è contestuale al rispetto della persona a cui diamo assistenza. Bisogna rispettare il migrante anche nella sua cultura, perché non si compra mai nessuno. La persona deve essere accompagnata perché possa crescere autonomamente. Nella misura in cui si dà, tutto si riceve”.

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