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Monsignor Lozano “È il giusto salario il modo genuino per uscire dalla povertà”

JorgeMaribé Ruscica

“Abbiamo sempre cercato di condividere con tutti i settori le questioni che si trattano durante la Settimana sociale. Si tratta anche del risultato di un intenso lavoro precedente che fanno i vescovi della Commissione per la pastorale sociale attraverso le loro visite ai sindacati dei lavoratori, circoli imprenditoriali e partiti politici per invitarli e per stimolare la loro partecipazione”. Così monsignor Jorge Lozano, presidente della Commissione per la pastorale sociale della Conferenza episcopale argentina e vescovo di Gualeguaychu, parla della “Settimana sociale 2015”, conclusa il 28 giugno in Argentina, che si è interrogata sul tema: “Globalizzazione dell’indifferenza o globalizzazione della solidarietà?”.

In vista delle prossime elezioni, la Chiesa intravede la possibilità di un patto sociale tra sindacati, imprenditori e candidati presidenziali?
“Il nostro obiettivo è favorire il dialogo, ascoltare le preoccupazioni e le proposte dei diversi partiti politici. È anche un’occasione per esprimere le nostre inquietudini sui poveri, sul lavoro, sulla tossicodipendenza e sul narcotraffico, sulla fratellanza sociale. Inoltre li incoraggiamo nella vocazione politica quale espressione genuina della carità sociale e della necessità di pensare al bene comune, e in special modo ai poveri. Un patto sociale, forse, lo proporranno più avanti alcuni referenti politici o sociali ma non si tratta, per ora, di un’iniziativa promossa dalla pastorale sociale”.

Crede che in Argentina la chiave per lo sradicamento della povertà sia nelle politiche statali?

“Possono esistere programmi congiunturali per dare risposta a una certa emergenza particolare. Altre politiche, invece, dovrebbero avere una garanzia di continuità al di là dei partiti politici che arrivano al governo. Ma il modo genuino di uscire dalla povertà si trova nel lavoro adeguatamente retribuito. Papa Francesco ci ricorda che il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune”.

Cosa evidenziano, secondo la Chiesa, i numeri reali della povertà?

“Dobbiamo cercare di non ridurre la questione della povertà a un problema statistico, sebbene i numeri siano importanti al momento di realizzare una diagnosi certa. La realtà ci dimostra che esistono famiglie che non dispongono di un’alimentazione adeguata né di condizioni di vita degne. Ma in Argentina, come in tanti altri posti del mondo, non si può parlare di povertà senza considerare anche la ricchezza. Così come ci sono uomini impoveriti, ci sono anche uomini che si sono arricchiti in modo scandaloso. La ricchezza si è concentrata in poche tasche. Una responsabilità importante in questa situazione spetta alla corruzione che devia in ricchezza personale le risorse che dovrebbero arrivare al popolo”.

Il consumo di droga è un problema che mobilita da poco anche i sindacati, allarmati dall’alto assenteismo che genera tra i lavoratori. Lei ritiene che andiamo verso un impegno di tutti i settori per superare questo flagello?

“Le preoccupazioni dei sindacati sono l’assenteismo e il rischio di incidenti sul lavoro. Ci sono sindacati che soffrono, in particolare, questo problema e che arrivano ad avere perfino un 30% di tossicodipendenti tra i propri lavoratori. Si tratta di una problematica posta anche dagli imprenditori. Mi duole dover affermare che non stiamo andando verso un impegno efficace dei diversi settori per cercare una soluzione. Non è riconosciuto né apprezzato con realismo e quelli che detengono il potere di solito lo minimizzano. Anche in quest’area esiste un’importante porzione di complicità e corruzione”.

Gli insegnamenti di Papa Francesco su una Chiesa “in uscita” hanno mobilitato molti fedeli, perfino non credenti. Lei crede che “l’opzione preferenziale per i poveri” e le avvertenze contro una “globalizzazione dell’indifferenza” hanno scosso strutture o aree decisionali nel nostro Paese?
“La figura, l’azione, la predicazione del Papa stanno toccando in profondità il nostro popolo come un invito alla gioia della fede e alla vicinanza con i poveri. Comunque, io percepisco che mancano ancora i passaggi dalla simpatia del messaggio all’impegno concreto. I cambiamenti nella Chiesa e nella società non sono esclusiva responsabilità del Papa, ma vocazione e responsabilità di tutti i fedeli. Molte volte vedo con tristezza che ci fermiamo agli aspetti aneddotici di Francesco, senza passare a realizzare i cambiamenti necessari. Tutti dobbiamo collocarci ‘in uscita’ e in atteggiamento costante di andare ‘in periferia’. Credo che, purtroppo, non stiamo rispondendo con audacia all’invito di Francesco”.

Nella “Settimana Sociale 2014” si è parlato della necessità di promuovere nuovi stili di “leadership” e, appena un mese fa, la Chiesa ha condannato la superficialità della politica. Quale spiraglio di speranza vuole trasmettere?
“Nelle riunioni con i diversi candidati e pre-candidati abbiamo osservato con soddisfazione che sono soliti disporre di buoni consiglieri e team tecnici. Ad ogni modo, abbiamo bisogno di crescere in uno spirito democratico che non si riduca alle elezioni ogni due anni. Dobbiamo ancora approfondire una democrazia partecipativa e promuovere in tutti i cittadini un maggiore impegno per il bene comune”.