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Ma da qualche mese esiste il “baratto amministrativo”, introdotto dal decreto “Sblocca Italia”. La legge 164/2014 prevede che le Amministrazioni civiche possano accordarsi con i cittadini per sostituire il mancato pagamento delle tasse comunali con servizi alternativi resi alla comunità.
In pratica chi non riesce a pagare l’affitto della casa comunale, oppure la Tasi o l’Imu, chiede al Municipio di barattare la morosità con la pulizia delle strade, lo sfalcio del verde pubblico, la ritinteggiatura di qualche stabile colorato dai writers.
Così Invorio, piccolo centro del Novarese, ha avviato l’operazione: prima definendo e approvando uno specifico regolamento comunale, poi accogliendo la richiesta di un cittadino e valutando la proposta di un secondo residente.
Il “baratto amministrativo” è naturalmente legato al rapporto tra Comune e contribuente e passa attraverso l’analisi dell’Isee e della situazione reddituale e patrimoniale del richiedente. Ovvero: i furbi son pregati di astenersi.
Nel frattempo altre cittadine – fra Sardegna, Lombardia e Abruzzo – stanno cercando di capire come funziona l’operazione. È il caso di quella famiglia in ritardo con i pagamenti dei buoni pasto della refezione scolastica che si impegnerebbe a tener pulito il parcheggio e il giardinetto davanti a casa. La faccenda non è scontata, perché il baratto non può schiacciare i piedi al lavoro dei netturbini o della cooperativa che ha vinto l’appalto per la cura del verde pubblico, per evitare spiacevoli “conflitti d’interesse”.
Eppure si tratta di una risposta sensata, una maniera civile di far incontrare il “palazzo” con chi, a causa di problemi familiari o lavorativi, non è oggettivamente in grado di far fronte ai propri doveri verso il fisco. Si profila, inoltre, una risposta alternativa agli spiacevoli contenziosi tra Ente locale e cittadini: il Comune incassa servizi anziché euro, e le persone vengono tutelate nella loro dignità. Che, in qualche caso, è ciò che resta di più prezioso da salvaguardare.