Una voce per la dignità, anche nel mezzo dei conflitti. È quella del Catholic Radio Network (Crn), la rete di emittenti della conferenza episcopale di Sudan e Sud Sudan. Le stazioni radiofoniche trasmettono da sei città di quest’ultimo paese e da Gidel, sui Monti Nuba, oltre il confine: qui l’esercito di Khartoum e i movimenti ribelli si scontrano ormai da decenni in quella che gli specialisti definiscono una guerra “a bassa intensità”, ma ugualmente drammatica per i civili. “Nelle condizioni in cui queste zone sono oggi, il primo elemento a risentirne è la vita delle donne, i cui diritti sono ancora più calpestati, mentre i bambini hanno subìto, con il conflitto, il blocco dell’istruzione”, spiega da Juba, capitale del Sud Sudan, Enrica Valentini, che dirige il Crn.
Partecipazione femminile. È in questo contesto che mostrano la loro importanza programmi come quello intitolato “Nadhrat al-Shafafa” (o “Transparent view”), che è dedicato proprio a queste categorie, e in particolare alla condizione femminile. “È un settimanale – spiega ancora Valentini – composto di materiali raccolti da tutte le sette radio del Crn e legati, in ogni puntata, da un filo conduttore: si tratta sempre di temi che sono connessi alla vita di donne e bambini e alla loro esperienza quotidiana”. Gli argomenti trattati vanno dalla condizione delle famiglie ai diritti della donna e al suo ruolo nella comunità, alternando questioni di attualità (donne in politica, scolarizzazione delle bambine, contrasto alle mutilazioni genitali femminili) e di costume (donne e sport, donne e musica…). Un tratto, però è comune, prosegue la direttrice: “mostrare la partecipazione femminile in differenti ambiti e cercare di capire come possa essere migliorata”. Il contesto di partenza, infatti, anche al di là dei conflitti in corso, vede donne, ragazze e bambine scontrarsi con molti limiti posti dalla tradizione. Anche se a seconda della comunità d’appartenenza la situazione può cambiare, infatti, generalmente il ruolo tradizionale femminile è solo quello della cura della famiglia. L’istruzione, dunque è percepita come un lusso di cui molte non possono beneficiare, con conseguenze negative anche sulla possibilità di trovare un lavoro. Senza contare l’impossibilità, sancita in alcune società, di ereditare o di possedere terre e case nel caso una donna resti sola.
Esempi positivi. Prime destinatarie del programma del Crn, dunque, sono le comunità nel loro insieme, spinte a dare più spazio all’iniziativa femminile al loro interno. “Del resto, se si vuole ottenere un risultato in termini di condizione delle donne – riflette ancora la direttrice del network cattolico – bisogna lavorare anche con chi sta loro accanto”. La risposta, da questo punto di vista, è stata buona: ad intervenire durante i programmi, con commenti e domande, non sono solo donne, ma anche uomini. “La società – ammette Valentini – rimane centrata sulla figura maschile, alcune pratiche culturali restano rigide e c’è sempre la necessità di vedere come verrà tradotto in pratica ciò che viene accettato a parole, ma la partecipazione e l’attenzione al programma sono già segnali promettenti”. Il protagonismo delle donne, però, viene incoraggiato anche in maniera più diretta, ad esempio coinvolgendo nelle trasmissioni figure che possano essere viste come modelli dalle ascoltatrici, sia in veste di ospiti che di redattrici. La maggior parte dello staff che lavora al settimanale, 12 persone su 14, è infatti composto da giornaliste che hanno seguito per questo dei corsi di formazione. “L’idea – specifica la direttrice – è di rafforzare le loro capacità e farle lavorare su un piede di parità coi colleghi uomini, far prendere loro consapevolezza di ciò che possono fare e affidare loro responsabilità”. Un altro modo, questo, di trasmettere uno dei messaggi più cari al Catholic radio network: la dignità e il valore della persona in quanto tale. Questo porta con sé il concetto che tutti, donne e uomini “sono in grado di raggiungere determinati traguardi e hanno il diritto di farlo”, dice ancora Valentini. “E in un momento di guerra come quello attuale, dove l’appartenenza a una specifica comunità può rappresentare un rischio – conclude – ribadire che ciascuno ha una dignità uguale a quella degli altri e che non esistono elementi di ‘seconda classè è ancora più necessario”.
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