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Non ci sono più cristiani a Mosul

Una bandiera nera dell’Is sopra una chiesa a Mosul. È forse l’immagine più emblematica che simboleggia la condizione dei cristiani iracheni a un anno dalla presa di Mosul, l’antica Ninive. Il 16 luglio di un anno fa, infatti, si diffuse la notizia che per la prima volta le case dei cristiani abitanti la seconda città irachena, occupata dallo Stato islamico (Is) erano state segnate con la lettera araba “Nun” (N), cioè seguaci del “Nazareno”. Oggi a Mosul non ci sono più cristiani, le chiese sono chiuse o trasformate in moschee. E la fuga della minoranza cristiana dall’Iraq continua senza sosta. Una diaspora che non conosce confini dalla Giordania agli Usa, dalla Turchia al Libano, dai Paesi Scandinavi all’Australia. Molti sono stati accolti nel Kurdistan iracheno, a Erbil e Duhok. Vivono in tende, container e roulotte. La Chiesa locale li aiuta mettendo a disposizione anche appartamenti e stanze dove trovano spazio fino a tre famiglie.
Da oltre un milione che erano i cristiani iracheni sono oggi meno di 400mila. Da abitanti originari del Paese sono diventati un’esigua minoranza, una storia lunga quasi 2000 anni che rischia d’infrangersi nella violenza delle milizie del Califfato. Costretti a fuggire, oppure a convertirsi all’Islam, chi può a pagare la tassa di protezione.
Oggi, dopo quasi due millenni di storia, a Mosul non si celebrano più messe. In 120mila, di notte, un anno fa, hanno lasciato le loro case, preso quel poco che sono riusciti a recuperare, i risparmi di una vita, diventando prede di una violenza cieca che li voleva morti svuotando la città e i villaggi della Piana di Ninive di una presenza antica e preziosa. È passato un anno e la situazione non migliora. Anzi peggiora come denunciano i vescovi iracheni: rapimenti e uccisioni dei cristiani continuano, gli ultimi a Baghdad in questi giorni, le loro case requisite.
Gli appelli alla comunità internazionale sono continui. L’ultimo è quello di monsignor Basilio Yaldo, vescovo ausiliare del Patriarcato caldeo di Baghdad: “La comunità internazionale può aiutare il nostro Paese facendo pressione sul nostro governo e cercando di creare una sorta di protezione internazionale dei villaggi della Piana di Ninive. Nonostante mandino aiuti – sanitari, cibo, vestiario – mancano ancora tante cose… Purtroppo noi siamo quel che resta dei cristiani, perché il martirio è il carisma della nostra Chiesa: all’inizio è stata perseguitata dai persiani, poi dagli arabi, poi dai mongoli, dagli ottomani. Adesso dal Daesh (Califfato)!”. Intanto il fronte del martirio si allarga nel silenzio complice dell’Occidente.

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