Da oltre un milione che erano i cristiani iracheni sono oggi meno di 400mila. Da abitanti originari del Paese sono diventati un’esigua minoranza, una storia lunga quasi 2000 anni che rischia d’infrangersi nella violenza delle milizie del Califfato. Costretti a fuggire, oppure a convertirsi all’Islam, chi può a pagare la tassa di protezione.
Oggi, dopo quasi due millenni di storia, a Mosul non si celebrano più messe. In 120mila, di notte, un anno fa, hanno lasciato le loro case, preso quel poco che sono riusciti a recuperare, i risparmi di una vita, diventando prede di una violenza cieca che li voleva morti svuotando la città e i villaggi della Piana di Ninive di una presenza antica e preziosa. È passato un anno e la situazione non migliora. Anzi peggiora come denunciano i vescovi iracheni: rapimenti e uccisioni dei cristiani continuano, gli ultimi a Baghdad in questi giorni, le loro case requisite.
Gli appelli alla comunità internazionale sono continui. L’ultimo è quello di monsignor Basilio Yaldo, vescovo ausiliare del Patriarcato caldeo di Baghdad: “La comunità internazionale può aiutare il nostro Paese facendo pressione sul nostro governo e cercando di creare una sorta di protezione internazionale dei villaggi della Piana di Ninive. Nonostante mandino aiuti – sanitari, cibo, vestiario – mancano ancora tante cose… Purtroppo noi siamo quel che resta dei cristiani, perché il martirio è il carisma della nostra Chiesa: all’inizio è stata perseguitata dai persiani, poi dagli arabi, poi dai mongoli, dagli ottomani. Adesso dal Daesh (Califfato)!”. Intanto il fronte del martirio si allarga nel silenzio complice dell’Occidente.