Contadini senza terra, famiglie senza casa, lavoratori senza lavoro. Poveri che guadagnano il minimo per la sopravvivenza con il piccolo commercio informale o riciclando alluminio e cartone. Che spesso vivono nelle baraccopoli. Comunità indigene oppresse dalla presenza di multinazionali minerarie, petrolifere, delle sementi ogm, dall’agricoltura su vasta scala, dalle grandi opere pubbliche che devastano senza scrupoli interi territori incontaminati. Popoli e persone che subiscono persecuzioni e violazioni dei diritti umani, che muoiono per difendere la terra, i fiumi, i boschi, il mare o la comunità. Credenti e non credenti. Cristiani, indù, buddisti, musulmani, fedeli delle religioni tradizionali e animiste. È una mappa dai contorni indefiniti e iniziative molto diverse, sempre in evoluzione, che si estende soprattutto nel Sud del mondo – con una presenza maggioritaria in America Latina, ma anche in Asia meridionale, Africa, Europa e America del Nord -, quella di migliaia di organizzazioni popolari, in rappresentanza di centinaia di milioni di persone escluse dal benessere, dal diritto a una vita dignitosa. Finora presenti soprattutto nei Forum sociali mondiali (dal primo di Porto Alegre nel 2001 e da allora in diversi Paesi), i movimenti popolari sono stati convocati anche dalla Chiesa, con il primo incontro mondiale organizzato in Vaticano dal Pontificio Consiglio giustizia e pace nell’ottobre del 2014 con 100 delegati, fino al più recente, dal 7 al 9 luglio, a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, con la presenza di Papa Francesco. Un evento storico a cui hanno preso parte 1.500 rappresentanti di altrettanti movimenti provenienti da 40 Paesi, per discutere dell’oggetto principale delle loro rivendicazioni: “Terra, casa, lavoro”, le tre T in spagnolo (Tierra, techo, trabajo).
Contro l’ingiustizia il metodo del dialogo. In un sistema economico dominato dal denaro che schiaccia l’uomo e crea povertà, ingiustizia e disuguaglianze – con l’1% dei ricchi che detengono il 48% della ricchezza globale, lasciando appena il 52% da spartire tra il restante 99% – la Chiesa vuole sostenere un cambiamento che parta dal basso perché crede nella possibilità di “un’alternativa umana” a “questa economia che uccide e esclude”, come ha detto Papa Francesco durante il suo recente viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay. Il Papa dice di non avere una ricetta ma “un metodo: quello del dialogo”: “Costruire ponti, non muri” in un incontro che parta da una identità forte e riconosca che “la diversità non solo è buona, è necessaria”. Perché l’obiettivo è “cercare il bene comune per tutti”. “La globalizzazione della speranza, che nasce dai popoli e cresce tra i poveri – è stato uno dei passaggi chiave del suo discorso ai movimenti – deve sostituire questa globalizzazione dell’esclusione e dell’indifferenza”: “Voi, i più umili, gli sfruttati, i poveri e gli esclusi, potete fare e fate molto. Oserei dire che il futuro dell’umanità è in gran parte nelle vostre mani”.
L’America Latina in prima fila. La parte del leone la fanno soprattutto i movimenti dell’America Latina, con una lunga tradizione di organizzazione popolare, spesso sostenuta dalla Chiesa. Non mancano, infatti, “nella lista”, le tante Commissioni giustizia e pace delle Conferenze episcopali o diocesi (Antille, Venezuela, Brasile, Bolivia, Cuba, Guatemala, El Salvador, Nicaragua, Panama, Puerto Rico, Ecuador, Uruguay, ecc.), le Caritas locali, i missionari, le organizzazioni non governative d’ispirazione cattolica. C’è chi sostiene da vicino le lotte per l’autodeterminazione dei popoli indigeni come il Consiglio indigenista missionario del Brasile (organo della Conferenza episcopale) o il Movimento degli operai cattolici in Bolivia e Argentina. Tra i movimenti più famosi quello storico dei Sem terra del Brasile o il Centro Bartolomeo de las Casas in Messico, con la resistenza delle comunità del Chiapas e il mito del subcomandante Marcos o le donne contadine uruguayane. Con Papa Francesco sono saltati all’onore delle cronache anche i cartoneros argentini, meno conosciuti i catadores da rua che riciclano alluminio in Brasile. C’è poi la coalizione “Iglesias y minerìa” che riunisce 70 gruppi di base che si difendono dai soprusi delle compagnie minerarie o la Via Campesina, movimento internazionale che rappresenta 200 milioni di agricoltori.
In Asia e Africa. In Asia sono note le battaglie dei contadini indiani contro le sementi ogm e per la sovranità alimentare, quelle degli abitanti degli slums o degli intoccabili che vivono in strada (National slum dwellers federation of India e Slum dwellers international). Tra le curiosità, anche un movimento cambogiano a tutela dei conducenti di tuk-tuk, i caratteristici taxi che popolano strade e città asiatiche. Piccole ma rappresentative le lotte dei movimenti organizzati curdi che resistono all’Isis e delle donne palestinesi. Anche in Africa i piccoli agricoltori si riuniscono in grandi organizzazioni che hanno sede in Senegal, Mali, Mozambico. Famose anche le associazioni di donne in diversi Paesi e quelle dei venditori di strada in Kenya.
In Europa e America del nord. Dall’Europa si estendono nel mondo movimenti contro le mafie e lo sfruttamento come l’italiana Libera international o contro la povertà come la francese Atd-Tiers monde. In Canada i popoli indigeni si sono riuniti nel Congresso dei popoli mentre le pastorali sociali delle Chiese statunitensi sono rinomate per la loro azione ricca e proficua. Una fantasia dell’impegno sociale impossibile da descrivere in maniera esauriente, che non smetterà di credere e lottare per un mondo migliore.