Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una sentenza destinata a far discutere in cui, accogliendo il ricorso di una persona transessuale, ha sottolineato come la “disforia di genere” (il non identificarsi nel sesso di nascita) “determina l’esigenza di un percorso soggettivo di riconoscimento di questo primario profilo dell’identità personale né breve né privo di interventi modificativi” il cui sviluppo dinamico nel corso del tempo “ne costituisce una caratteristica ineludibile e la conclusione del processo di ricongiungimento tra ‘soma e psiche’ non può, attualmente, essere stabilito in via predeterminata e generale soltanto mediante il verificarsi della condizione dell’intervento chirurgico”. In base a queste considerazioni, conclude la Cassazione, la determinazione del sesso non può essere fondata solo su un intervento chirurgico.
Il caso arrivato ai giudici di Piazza Cavour è appunto quello di Massimiliano/Sonia, transessuale da maschio a femmina, che dopo aver iniziato tutta la trafila per l’adeguamento dei caratteri sessuali primari, ha ritenuto di non aver bisogno di sottoporsi all’intervento chirurgico per la demolizione e ricostruzione del proprio apparato genitale per sentirsi integralmente donna. Dopo 25 anni vissuti come tale e socialmente riconosciuto in questa veste, non sentiva il bisogno di ricorrere anche a una operazione di riattribuzione chirurgica del sesso. La sua richiesta di cambiamento anche sui documenti d’identità si è però scontrata con due rifiuti di altrettanti tribunali che, secondo la giurisprudenza prevalente e la legislazione vigente in materia, hanno sempre respinto le sue istanze. Fino alla Cassazione che invece, interpretando in maniera estensiva la norma per cui non ci sarebbe l’obbligo di intervento chirurgico per questi casi, ma di un’autorizzazione qualora risulti “necessario”, ha rimesso in gioco la necessarietà dell’evento e disposto che la determinazione del genere non dipenda più dalla chirurgia. L’adeguamento del sesso all’anagrafe quindi non passerà più attraverso la sala operatoria, ma resta da vedere come si possa gestire questa sorta di autocertificazione come se si trattasse di una mera semplificazione di atti amministrativi.