“Un passo fondamentale nel costruire un futuro sostenibile per tutti”. Così il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha definito il documento uscito, giovedì scorso, dalla conferenza internazionale delle Nazioni Unite di Addis Abeba, sul tema dei finanziamenti per lo sviluppo. Una frase che all’esultanza aggiunge il sollievo: l’accordo era indispensabile per realizzare, nei prossimi anni, gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg, nell’acronimo inglese). Questi, destinati a sostituire gli Obiettivi del Millennio, “scaduti” quest’anno, saranno definiti a settembre al Palazzo di Vetro di New York. Un insuccesso ad Addis Abeba, tuttavia, li avrebbe resi già da ora un semplice elenco di buone intenzioni.
Ottimismo istituzionale. A notare l’importanza della posta in gioco era stata, tra le altre sigle, anche Caritas Internationalis: “I Paesi del mondo – si chiedeva l’organizzazione cattolica in un comunicato – vogliono veramente mettere l’economia e la finanza al servizio del pieno sviluppo di tutti noi e della conservazione delle nostre risorse naturali?”. Stando alla lettera dei documenti ufficiali usciti dall’incontro, l’ottimismo di Ban Ki-moon e dell’Onu è giustificato: sono 100 gli impegni concreti presi dai partecipanti, tra cui quello a far entrare in vigore il cosiddetto “social compact”, un sistema di assistenza sociale che possa contare su stanziamenti pari a una percentuale fissa della ricchezza nazionale. Riaffermato anche l’obiettivo storico di destinare lo 0,7% del prodotto interno lordo agli aiuti allo sviluppo. Un impegno che però, notano i critici, è vecchio ormai di 45 anni, e che molti governi, finora, non hanno saputo o voluto rispettare, con conseguenze negative molto evidenti per il continente africano.
Impegni disattesi. “L’Africa non ha ottenuto una garanzia concreta del rispetto dell’obiettivo dello 0,7%” notaGrégoire Niaudet, responsabile del Secours Catholique francese per i finanziamenti allo sviluppo e rappresentante di Caritas Internationalis alla conferenza. Questo, prosegue, non è l’unico punto critico: “Il testo concordato ad Addis Abeba – spiega – non mostra nessuna ambizione da parte della comunità internazionale: si sarebbe dovuta creare un’architettura favorevole allo sviluppo internazionale, ma i meccanismi mondiali restano diretti dai Paesi più potenti, mentre quelli più poveri non necessariamente partecipano alle decisioni che riguardano temi come il commercio, il debito, i finanziamenti privati…”. Un esempio di quanto sostiene Niaudet sta nella decisione presa su uno dei temi più dibattuti della conferenza: la mancata creazione di un comitato intergovernativo in materia di tassazione, che avrebbe riguardato soprattutto le attività delle grandi multinazionali nel Sud del mondo. Al tema è particolarmente sensibile l’Africa che, secondo stime diffuse dall’Unione africana, perde a causa di evasione ed elusione fiscale circa 60 miliardi di dollari l’anno. Oltre il doppio dei 25 destinati lo scorso anno dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) alle nazioni subsahariane. Se rimanessero sul territorio, queste risorse potrebbero invece giocare un ruolo fondamentale nel sostenere economie che, a livello interno, cominciano in molti casi a dare un contributo forte al proprio stesso sviluppo: 11 delle 20 nazioni a più forte crescita nel mondo, infatti, sono appunto africane.
Sguardo al futuro. “Il fatto che di tassazione si sia discusso, significa che comunque questa proposta delle organizzazioni della società civile, tra cui Caritas, ha fatto strada: è già un piccolo successo”, nota però Niaudet. Ma la società civile cattolica vuole far sentire più forte la sua voce al tavolo di New York, su cui si sposta ora l’attenzione. “Siamo già stati presenti nelle discussioni preparatorie – continua Niaudet – e ora, oltre ad essere coinvolti nell’applicazione concreta delle misure, vigileremo anche perché i futuri impegni sugli Sdg vengano rispettati”. Da evitare sono, soprattutto, le possibili conseguenze paradossali di alcune decisioni già prese ad Addis Abeba, come quella di coinvolgere maggiormente nei finanziamenti allo sviluppo il settore privato. Una fonte, certamente, di maggiori entrate, ma che porta con sé il rischio, conclude il rappresentante di Caritas, “di aprire a strumenti finanziari speculativi”.