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Ogni famiglia è chiamata a essere accogliente per superare la solitudine

Di Francesco Rossi
Recuperare la “dimensione del cortile” per superare la solitudine, perché accoglienza e solidarietà, in una famiglia, non sono un optional. Con questa consapevolezza Ufficio nazionale di pastorale familiare della Cei, Caritas italiana e Forum delle associazioni familiari hanno ideato un percorso nazionale integrato – dal titolo “Famiglie chiamate ad accogliere” – che vuole “rilanciare la cultura e la pratica dell’accoglienza e della solidarietà familiare nelle comunità ecclesiali locali”.
Collaborazione ecclesiale. L’idea ha preso corpo, nel biennio trascorso, grazie a una serie di iniziative nelle quali, a vario titolo, si sono trovati coinvolti i tre soggetti promotori, sviluppando una reciproca interazione. “A giugno 2014 – esemplifica Marco Giordano, presidente di ‘Progetto Famiglia’ e coordinatore dell’iniziativa – San Giovanni Rotondo ha ospitato la settimana estiva di formazione della pastorale familiare, centrata sui temi dell’affido e dell’adozione; nel gennaio 2014 la Caritas aveva già lanciato il coordinamento ‘Carità è famiglia’; vi sono stati poi gemellaggi tra la Chiesa italiana e quella greca nati dal richiamo di Benedetto XVI all’incontro mondiale delle famiglie di Milano, come pure un’iniziativa di accoglienza di rifugiati”. Insomma, occasioni che hanno visto le tre realtà ecclesiali lavorare fianco a fianco, costruendo “una buona premessa relazionale”. Oltre a tante “buone pratiche” che si sperimentano sul territorio, la cui messa in rete permetterebbe di avere un valore aggiunto. Tutto questo è poi confluito in un seminario nazionale, lo scorso marzo a Verona, per passare dalla teoria alla pratica e dare concretezza al percorso.
Non si può non accogliere. Da questa collaborazione e dal confronto reciproco è infatti emersa l’esigenza di far qualcosa “per contrastare il disagio sociale e relazionale di tante famiglie, effetto di una sempre più diffusa solitudine e che spesso evolve in forme di esclusione sociale”, rimarca Giordano. Riconoscendo che “ogni famiglia è chiamata ad aprirsi alle altre, a partire da un’ottica di vicinato. L’affido familiare, come pure l’accoglienza degli immigrati sono forme più ‘intense’ di impegno, ma alla base hanno quell’apertura a cui ogni famiglia è chiamata”. “L’accoglienza – prosegue Giordano – parte dai bisogni che s’incontrano nella quotidianità, guardando a chi ci sta vicino”. Ci può essere il bambino che deve fare i compiti mentre i genitori lavorano, l’anziano della porta accanto che ha bisogno di una mano per la spesa… Il percorso nazionale invita ad avere uno sguardo solidale e al tempo stesso responsabile.
“Apostolato di quartiere”. Perché “questa dimensione del cortile si va perdendo, e invece va recuperata, realizzando quello che papa Francesco definisce ‘apostolato di quartiere’, declinandolo con il farsi prossimi”, sottolinea Giordano. Per contrastare solitudine e disgregazione, ogni famiglia è chiamata a mettere in gioco tutte le sue potenzialità, consapevole di essere “fucina, scuola di gratuità e sorgente di fraternità”, “il primo luogo dell’accoglienza dell’altro, di valorizzazione e di riconoscimento delle differenze individuali”. Obiettivo del percorso, in sintesi, è “riaffermare la cultura che l’essere famiglia aperta e solidale non è un optional”, partendo da quelle buone pratiche che già ci sono, “accompagnandole e mettendole in rete”, affinché si possano moltiplicare. Così la famiglia, ogni famiglia si fa antidoto alla solitudine e alla “cultura dello scarto”.
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