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Così il Paese si dà un biglietto da visita nuovo di zecca

Di Luigi Crimella

Dopo il via libera senza modifiche in Commissione Affari Costituzionali del Senato della scorsa settimana, il disegno di legge d’iniziativa governativa (ddl) sulla riforma della Pubblica Amministrazione è stato approvato questa mattina (4 agosto) in via definitiva dall’assemblea di Palazzo Madama. Il voto finale ha visto 145 voti a favore, 97 contrari e nessun astenuto. Soddisfatto tutto il governo a partire dal primo ministro Matteo Renzi, sulla via del rientro in Italia dopo la visita in Giappone. Soddisfatta soprattutto la ministra per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione Marianna Madia, principale artefice della riforma, che però si è subito premurata di sottolineare che ora si apre “la partita dei decreti attuativi” (con 15 deleghe previste, che verranno discusse a partire da settembre). La riforma rappresenta, infatti, lo “scheletro” di una serie d’interventi complessi, che andranno a toccare realtà e strutture amministrative con le quali ciascuno dei 60 milioni di italiani hanno quotidianamente a che fare. Nel descrivere i decreti che verranno presentati alla ripresa dei lavori parlamentari, la ministra ha parlato sostanzialmente di “due pacchetti”: il primo è quello cosiddetto antiburocrazia, mentre il secondo riguarda il “dimagrimento” della pubblica amministrazione. Con questa riforma l’Italia pone le basi per divenire, almeno nelle intenzioni, un Paese più moderno, efficiente, capace di rispondere con maggiore rapidità e precisione alle richieste di cittadini, imprese e organismi del privato sociale.

Dove andrà la pubblica amministrazione.
Vediamo i principali contenuti della riforma, che si compone di numerosi capitoli e investe una pluralità di soggetti. Si va dalla lotta all’assenteismo tra i pubblici dipendenti, per cui verrà steso un “testo unico”, al controllo sulle assenze per malattie (dalle Asl passerà all’Inps); dalla licenziabilità dei pubblici dirigenti (se valutati negativamente) alla fine del regime degli “incarichi a vita” con possibile demansionamento; dalla trasparenza sui documenti pubblici (il nostro “freedom of information act”, per dirla all’americana) al riordino delle forze dell’ordine con l’accorpamento del Corpo forestale dello Stato molto probabilmente nell’arma dei Carabinieri. E ancora la riforma piuttosto drastica delle società partecipate dagli enti locali (le famose o famigerate “municipalizzate” che dovrebbero scendere da 8mila a 1.000) e un loro più facile commissariamento in caso di bilanci negativi. Ancora si prevede un sostanziale dimezzamento delle Prefetture e la riduzione delle Camere di commercio da 105 a 60, oltre all’accelerazione delle pratiche riguardanti le “grandi opere” o gli insediamenti produttivi rilevanti. Ci sono poi decisioni curiose, quali l’abolizione del voto minimo di laurea per l’accesso ai concorsi pubblici; la definizione del 112 come numero unico per le emergenze, il passaggio del pubblico registro automobilistico dall’Aci al ministero dei Trasporti. Un provvedimento molto importante riguarderà la soppressione o accorpamento dei cosiddetti “uffici doppioni” tra ministeri e le “authority”, mentre potrebbe rivelarsi determinante per lo snellimento burocratico l’arrivo della “carta della cittadinanza digitale” con una enorme e integrata banca dati di tutto ciò che riguarda i cittadini.

Uno specchio di come funziona lo Stato. Tra le varie riforme messe in campo dal Governo, quella della pubblica amministrazione appare la più delicata e complessa insieme. Sia per il rilievo politico ed economico, facilmente intuibile se solo si pensa che lo Stato italiano dà lavoro a 3 milioni e 300mila persone; sia per le difficoltà applicative derivanti anche dalle prevedibili resistenze dei pubblici dipendenti a essere sottoposti a un regime lavorativo più severo e vincolante rispetto al passato. Anche le altre riforme messe in cantiere sono rilevanti: basti pensare a quelle costituzionali (Senato, Regioni), a quella annunciata sulla “prima casa” e l’Imu, alla revisione di Irpef e Ires, al “Jobs Act”, alla “Buona scuola”, al fisco, i rifiuti, la sanità, la sicurezza e controllo del territorio, l’ambiente, la Rai e il sistema radio-televisivo. La pubblica amministrazione, tuttavia, appare di maggiore impatto in quanto è il “biglietto da visita” di uno Stato. Da come si presenta, da come lavora, dall’accuratezza e determinazione con le quali risponde alle istanze dei privati cittadini o delle aziende, si vede come un Paese è in grado di “funzionare” e su quali valori basa il proprio operato: se di servizio e sostegno alla vita di tutti, oppure se di sonnacchiosa e noncurante difesa di posizioni di rendita (pubblica e finora intoccabile). Su questo i cittadini potranno valutare l’efficacia delle riforme che man mano si fanno avanti e divengono operative. Partendo magari dalle novità agli sportelli del Comune o delle Asl o dell’Inps, dove a volte si viene trattati bene, a volte no.

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