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La comunità di Prislop in visita alla Caritas diocesana

 Di Floriana Palestini

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Un clima di festa e voglia di stare insieme ha caratterizzato la giornata di mercoledì 19 agosto. La festa si riferisce all’arrivo degli amici di Prislop (villaggio nella regione dei Maramures, immersa nei boschi transilvani), ancora una volta in visita nella nostra diocesi, dopo il soggiorno alla parrocchia dell’Annunziata (Porto d’Ascoli) nel 2009. Ad accompagnare i ragazzi c’era come sempre padre Ireneo, monaco greco-cattolico, fondatore insieme alla sua famiglia del Monastero di Prislop, dal quale è nata la Fondazione IHTIS – Manastirea Prislop. I ragazzi sono arrivati nel tardo pomeriggio spalancando il loro sorriso ai presenti e al vescovo Bresciani, e riempiendo la sala polivalente della Caritas della loro gioia. Tutti insieme poi, italiani e rumeni, hanno ascoltato il brano tratto dal vangelo di Matteo (Mt 25, 31-46) e il commento del vescovo Carlo, tradotto simultaneamente in rumeno da padre Ireneo: «I discepoli erano persone pronte a darsi per Gesù, ma non hanno capito perché fare le stesse cose per le persone che incontravano. Gesù dice “Io ero quella persona che avete incontrato che aveva fame, Io ero quella persona che aveva sete”.  Egli afferma che le persone che noi incontriamo sono qualcosa di più di semplici bisognosi, perché Lui abita in loro. Quando faccio qualcosa di bene a una persona, la faccio a Gesù. Gesù ci vuole insegnare che in ogni persona che incontriamo Lui è presente: è presente nel nostro amico e nel nostro nemico, nel nostro compagno, è presente nel Padre; è Gesù stesso che dice “Io sono lì”. Tutti noi possiamo fare qualcosa di importante: servire e aiutare Gesù nelle persone che incontriamo, tutti i giorni, per essere con “il Figlio dell’uomo che verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli”.»

In seguito, i ragazzi rumeni hanno voluto omaggiare la comunità italiana con l’intonazione di un canto. Padre Ireneo infine ha speso alcune parole sulla Fondazione IHTIS e sul suo lavoro al Monastero. Egli ha ricordato gli esordi della sua comunità, tornando con la mente ai primi anni del 2000: la Fondazione è nata senza un particolare intento di voler fare la carità, poiché vedendo i tanti ragazzi che uscivano dall’orfanotrofio e si imbattevano nella vita senza uno scopo, qualcosa scattò nel giovane Ireneo, diventato monaco da poco tempo. Così egli cominciò ad accogliere alcuni di questi ragazzi a casa dei suoi genitori, che vivevano proprio a Prislop. Dieci anni dopo, Prislop si ritrova con una grande casa abitata da ragazzi (la maggior parte dei quali portatori di vari handicap psicofisici e comportamentali – schizofrenia, epilessia, ritardo mentale, tossicodipendenza, paraplegia), circondata da terreni coltivati, stalle, e alcune piccole strutture dove si svolgono altri lavori legati all’attività agricola. I ragazzi di padre Ireneo sono uno diverso dall’altro, ma sorridono tutti allo stesso modo e tutti guardano a colui che per loro è un vero “padre” con stima, amicizia, ma soprattutto amore e rispetto.

«Siamo nati come un’onda che travolge una barca, e non sappiamo cosa ci succederà in futuro – afferma padre Ireneo – È difficile fare progetti con ragazzi senza casa, famiglia, futuro. Siamo una grande famiglia che cerca di affrontare i problemi di ogni giorno uno ad uno. Pensando al nostro lavoro, si potrebbe dire che camminiamo sulle mine: non sai mai come prendere i ragazzi e il metodo che usi per rapportarti a uno può essere sbagliato per un altro. Basta una parola sbagliata e la psiche di un ragazzo va in frantumi. Noi non vogliamo che i nostri ragazzi diventino mendicanti o ladri, ma li accogliamo per insegnare loro dei lavori. Non vogliamo piangere sulle nostre ferite, vogliamo superarle.»

Nonostante la pioggia che imperversava da un’ora su tutta la città, in quella piccola sala colma di persone c’era una luce potente e dirompente. Una luce che passava attraverso i cuori di quei ragazzi, riconoscenti a padre Ireneo che dal niente ha costruito una vita per decine di ragazzi come loro, e rimbalzava sui nostri cuori e nei nostri occhi di italiani, facendoci riflettere ancora una volta su quanto siamo incontentabili e noiosi con il tutto che abbiamo.

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