Maestro del terrore, dopo film “forti” come “L’ultima casa a sinistra” o “Benedizione mortale”, nel 1984 inaugura la fortunata saga “Nightmare”, mentre il mitico Freddy Kruger, strano essere dal volto orribilmente deturpato e con una mano metallica dotata di lunghe lame, inizia a popolare gli incubi di milioni di spettatori e a consolidarsi nell’immaginario collettivo del brivido cinematografico.
Il genere horror (cinematografico e letterario) riscuote da sempre grande successo, ma che cosa spinge l’uomo ad essere attratto dalla paura, emozione negativa per antonomasia? Forse il fatto di essere una sensazione che costringe la mente a fermarsi concentrandosi per un attimo, più o meno prolungato, su qualcosa di diverso dai propri pensieri. Forse perché è una tensione che fa sentire vivi, svegli, regala emozioni “forti” come la pratica di sport estremi. O forse perché, paradossalmente, la paura ridimensiona la paura.
I film horror hanno un valore catartico, esorcizzano la paura, un po’ come le danze macabre e i trionfi della morte che popolano con ossessiva insistenza ed espressività a volte crudele, a volte grottesca, l’arte figurativa dal Medioevo a Bruegel il Vecchio, per tentare di “addomesticare” attraverso scheletri e falci il timore della morte e delle ricorrenti epidemie. Entrata nel raggio di azione della nostra coscienza, riconosciuta e nominata, la paura può forse fare meno paura. Non possiamo sempre sbarazzarci dei timori (a volte fobie) che si annidano nei livelli profondi del nostro inconscio, ma possiamo imparare a conviverci. E chissà che anche quel brivido sottile che ci accompagna all’uscita dalla sala – un vero horror non ‘finisce’ mai e come una presenza costante continua a seguirci, almeno per un po’ – possa servire a questo.