Ieri mattina dopo la preghiera dell’Angelus Papa Francesco ha rivolto un appello a tutte le parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi. Inoltre, il Pontefice ha comunicato che prime all’accoglienza saranno due parrocchie del Vaticano che ospiteranno in questi giorni due famiglie di profughi.
Il Vaticano torna dunque ad aprire le porte ai più bisognosi: l’accorato appello di Bergoglio ha riportato infatti alla memoria il contenuto del Radiomessaggio rivolto da Papa Pio XII ai popoli del mondo intero, del 24 dicembre 1943. Quando ormai in Europa imperversava la guerra da più di tre anni, Papa Pacelli in occasione del Natale del 1943 decise di far sentire la sua voce a tutti gli uomini, servendosi di un linguaggio non molto comune, un linguaggio che – essendo volutamente criptico – sarebbe dovuto essere interpretato esclusivamente dagli uomini a cui si rivolgeva, i religiosi e le religiose.
Pio XII nel Radiomessaggio trasmesso nel dicembre del 1943 per la festività del Natale invitò “tutti” a partecipare a una generosa opera di giustizia e soccorso per i fratelli bisognosi avvalendosi di espliciti riferimenti biblici – poco compresi dai nazisti che monitoravano i comunicati papali – “Quante volte abbiamo dovuto ripetere con animo straziato l’esclamazione del divino Maestro: «Misereor super turbam. Ho compassione di questo popolo», e quante volte aggiungere anche Noi: «Non habent quod manducent. Non hanno che mangiare » (Marc. 8, 2), specialmente guardando a molte regioni devastate e desolate dalla guerra! E non fu mai volta o momento che non sentissimo duramente il contrasto fra le ristrettezze Nostre, non valevoli al soccorso, e la gigantesca estensione del bisogno dei molti, che fanno pervenire a Noi la loro voce supplichevole e il loro doloroso gemito, prima da regioni lontane, e ora sempre più anche dalle vicine. Di fronte a tale indigenza, ogni giorno crescente, Noi rivolgiamo al mondo cristiano un insistente grido di paterna invocazione di aiuto e di pietà: «Ecce sto ad ostium et pulso. Ecco che sto alla porta e busso» (Apoc. 3, 20)”.
Da quelle ore gli ambienti della Chiesa, i conventi, frati e suore – e soprattutto il Pontefice – accorsero all’aiuto e al salvataggio degli ebrei, sottraendoli ai rastrellamenti dei soldati tedeschi e dei loro collaborazionisti fascisti italiani. Grandi sforzi, non scevri da pericoli, sono stati fatti per nascondere ed alimentare gli ebrei durante i mesi dell’occupazione tedesca. Alcuni religiosi pagarono con la loro vita per quest’opera di salvataggio. Tutta la Chiesa è stata mobilitata allo scopo, operando con grande fedeltà e il Vaticano, a seguito del Radiomessaggio del Papa, si pose al centro di ogni attività di assistenza e salvataggio nelle condizioni della realtà del dominio nazista.
Dal dicembre 1943 le case religiose decisero di aprirsi per “salvare vite umane”, e lo fecero a seguito del desiderio espresso dal Santo Padre, che per primo aveva aperto le porte del Vaticano, delle Ville pontificie di Castelgandolfo e di San Giovanni in Laterano, dando un grande esempio di ospitalità.
L’accorato appello all’accoglienza pronunciato ieri mattina da Papa Francesco, in prossimità del Giubileo della Misericordia, richiama giustappunto le parole del suo Predecessore, Papa Pacelli, e nella totalità prosegue l’opera costante e quotidiana che la Chiesa missionaria di tutto il mondo compie nel nome di Dio e nella “concretezza della Parola del Vangelo”. A tal proposito importante risulta il discorso che Francesco fece in occasione della prima Udienza generale, a un mese esatto dall’ultima udienza generale di Benedetto XVI, davanti a circa 15.000 persone in piazza San Pietro: «Gesù non ha casa perché la sua casa è la gente, siamo noi, la sua missione è di aprire a tutti le porte di Dio, esser la presenza di amore di Dio, e nella settimana santa noi viviamo il vertice di questo cammino, di questo disegno di amore che percorre tutta la storia dei rapporti tra Dio e l’umanità: Gesù, entra a Gerusalemme per compiere l’ultimo passo, si dona totalmente non tiene nulla per sé, neppure la vita», aveva commentato il pontefice affermando che, essendo Dio Amore e accoglienza, ogni uomo deve imparare ad uscire da sé stesso per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, “per primi verso i nostri fratelli e sorelle, soprattutto i più lontani quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione e aiuto”.
[Tratto dal blog: Dentro le Mura]
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