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“L’Obamacare deve garantire l’obiezione di coscienza”

Zenit di Federico Cenci

Dipende dai punti di vista. La sentenza di una Corte federale americana che la scorsa settimana ha esentato i lavoratori del settore sanitario dall’obbligo di fornire servizi che provocano l’aborto, può essere interpretata come una vittoria storica dei gruppi che chiedono la difesa della libertà religiosa o come una pesante sconfitta dell’Obamacare, la riforma del settore sanitario introdotta dall’attuale Governo. In fondo, è un po’ tutte e due le cose.

La vicenda affonda le radici nel marzo 2010, quando dopo anni di discussioni è stata varata la controversa riforma dal nome “Patient Protection and Affordable Care Act”, la quale ha esteso a 13 milioni di persone che prima non erano assicurate di avere una copertura sanitaria. La riforma ha significato tuttavia anche altro, come emerso ufficialmente circa un anno dopo, all’uscita della guida dell’Obamacare.

La legge infatti contiene il cosiddetto “obbligo contraccettivo”: misura che impone ai datori di lavoro di fornire ai loro dipendenti un’assicurazione sanitaria comprensiva di farmaci contraccettivi, abortivi e la sterilizzazione. Per i trasgressori, previsti fino a 100 dollari di multa al giorno. Da questo obbligo furono esonerati laboratori e cliniche appartenenti a gruppi religiosi, ma l’obiezione di coscienza non fu estesa a lavoratori laici.

La mancata tutela della libertà religiosa, considerata una violazione del Primo emendamento della Costituzione americana, fu fonte di dure critiche nei confronti dell’Obamacare e di diverse class action. Tra i primi ad adire le vie legali, i membri dell’organizzazione pro-vita The March for Life, famosa Oltreoceano per le massicce manifestazioni contro l’aborto che ogni anno percorrono le vie di Washington.

Nel luglio 2014, attraverso gli avvocati dell’organizzazione non-profit Alliance Defending Freedom, è stata intentata una causa contro l’amministrazione Obama. “Il mandato è illegittimo e deve essere annullato per due motivi”, ha dichiarato The March for Life. I due motivi addotti sono l’assenza di interesse pubblico e l’infrazione della Costituzione e delle leggi federali.

Ragioni accolte dal giudice Richard J. Leon, della Corte federale del Distretto della Columbia, che ha risolto la causa in favore dell’organizzazione pro-vita. La toga ha rilevato che “non ha alcun senso” negare l’esenzione per motivi religiosi anche ai datori di lavoro laici se questo tipo di esenzione è già valida per le organizzazioni religiose. Leon ha inoltre riconosciuto che The March for Life è stata appositamente creata per lottare a favore dei diritti del nascituro.

Siamo nati per difendere la vita dal momento del concepimento”, ha confermato Jeanne Mancini, presidente dell’associazione. La quale ha inoltre espresso contentezza per il pronunciamento della Corte, definito un gesto di “fondamentale importanza”. Secondo la Mancini, al Governo “non dovrebbe essere permesso di forzare le organizzazioni come The March for Life di assicurare farmaci e dispositivi che possono causare l’aborto”.

La Mancini ha poi ringraziato l’Alliance Defending Freedom e l’avvocato Matt Bowman. Quest’ultimo, intervistato dal Christian Post, ha parlato di sentenza “convincente e influente per proteggere la coscienza di tutte le organizzazioni pro-vita”, le quali “non devono essere costrette a tradire i propri valori”.

Valori per la cui difesa The March for Life è costantemente schierata. Nei giorni scorsi il Congresso degli Stati Uniti è tornato al lavoro dopo cinque settimane di ferie e uno dei temi che si è subito introdotto al centro del dibattito è quello relativo ai fondi federali alla Planned Parenthood, l’organizzazione abortista al centro di uno scandalo a causa della vendita di tessuti fetali.

Nelle prossime settimane un cartello di varie organizzazioni, tra le quali appunto The March for Life, ha previsto un raduno di fronte Capitol Hill, sede del Congresso, per chiedere il blocco immediato dei finanziamenti. Un’altra battaglia che potrebbe rappresentare, allo stesso tempo, una vittoria per chi difende la vita e una sconfitta per l’amministrazione Obama.

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