Di Don Gian Luca Rosati tratto dal www.gioiaepace.blogspot.it
In una partita di calcio, se si parla di ultimo uomo è perché un giocatore per difendere la propria porta dall’attaccante avversario, ha commesso un fallo ed è stato espulso.
Chissà se anche fuori dallo stadio si può essere l’ultimo uomo, quello che, in pochissimo tempo, deve risolvere da solo una situazione critica?
Nella maggior parte dei casi, abbiamo semplicemente la sensazione di essere l’ultimo uomo. Ma se non ci difendiamo da questa sensazione, alla fine diventerà una convinzione e ci troveremo a vivere in continuo stato di emergenza.
Noi cristiani non siamo mai soli e, quindi, non siamo mai realmente l’ultimo uomo.
Allora, perché anche noi cristiani ci comportiamo come se lo fossimo?
Spesso siamo impazienti e pretendiamo di trovare soluzioni rapide o formule che ci facciano uscire con un clickdall’emergenza, preferibilmente senza sacrificio, senza perderci il sonno, senza metterci il cuore, senza coinvolgerci più di tanto, senza una reale passione, senza una gradualità.
È pericoloso ragionare da ultimo uomo; significa procedere di emergenza in emergenza, di crisi in crisi, di problema in problema, senza prendersi il tempo giusto per elaborare una valida strategia. Significa lasciare che la squadra continui la partita in inferiorità numerica: l’attacco viene temporaneamente neutralizzato, ma tornerà a proporsi e bisognerà fronteggiarlo con un uomo in meno …
Sempre più spesso mi ritrovo a combattere con la tentazione di sentirmi l’ultimo uomo e vado in affanno, schiacciato dal peso di problemi che sarebbe meglio portare insieme a tutta la squadra. La vista si confonde a tal punto che persino un falsopiano mi sembra una ripida salita, impossibile da scalare.
Noi preti, soprattutto, non siamo l’ultimo uomo, anche se le situazioni che viviamo possono spingerci a pensare diversamente; anche se l’idea di essere l’ultimo uomo può lusingarci, perché ci fa sentire importanti, indispensabili, unici.
Se impariamo a custodire il tempo per la preghiera e la riflessione personale, se proviamo a stare un po’ in silenzio, se scacciamo il pensiero che tutto dipende da noi, ci accorgiamo che non siamo soli: insieme a noi c’è Gesù, ci sono i confratelli nel sacerdozio, c’è una comunità parrocchiale, c’è la possibilità di una relazione vera col prossimo. Una relazione che non ci dà l’illusione di aver risolto il problema, ma ci fa incamminare sulla via che, giorno per giorno, ci porterà ad affrontarlo meglio.
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