Dall’inizio della crisi ad oggi (2007-2014) la povertà assoluta in Italia è raddoppiata, passando da 1,8 a 4,1 milioni di poveri. In punti percentuali si è passati dal 3,1% al 6,8% della popolazione. Ma non solo. Sono cambiati i volti della povertà: prima della crisi era toccato solo il Meridione, ora anche il Nord. Prima solo gli anziani, ora anche i giovani. Prima riguardava le famiglie con almeno tre figli, adesso anche con due. Prima si era poveri perché senza lavoro, ora si è poveri anche con il lavoro. E a pagare il prezzo più alto, durante la crisi, sono stati i più poveri: il 10% delle persone in povertà assoluta ha sperimentato una contrazione maggiore del proprio reddito (-27%) superiore a quella del 90% della popolazione. È quanto emerge dal Rapporto 2015 sulle politiche contro la povertà in Italia della Caritas italiana, presentato oggi (15 settembre) a Roma, con una dettagliata analisi sulle politiche sociali dei governi degli ultimi anni, compreso l’esecutivo Renzi. In questi anni, rivela il Rapporto intitolato “Dopo la crisi, costruire il welfare”, sono cambiati i governi, ma le politiche sociali non hanno contribuito a risolvere la situazione, che rischia di diventare strutturale se non viene messo in piedi un sistema di welfare pubblico. Nello specifico, Caritas italiana chiede di nuovo l’introduzione del Reis, il Reddito di inclusione sociale proposto dall’Alleanza contro la povertà. Italia e Grecia sono gli unici Paesi in Europa a non averlo. Da una analisi sulle misure prese e annunciate dall’esecutivo Renzi – tra cui il bonus di 80 euro per i lavoratori dipendenti, il bonus bebè per famiglie con figli entro i 3 anni, l’assegno di disoccupazione (Asdi) e il bonus per le famiglie numerose – risulta molto scarso l’impatto sui più poveri: solo il 22% dei nuclei in povertà ottiene una delle prime tre misure e solo il 5,5% esce dalla povertà assoluta per effetto delle stesse. Secondo il Rapporto, lo sforzo complessivo del governo Renzi “è più incisivo di quello di molti suoi predecessori” per ampiezza di riforme che toccano diversi soggetti sociali. “Tra questi ultimi, tuttavia, non figurano i poveri”. Inoltre l’idea che la ripresa economica e quella occupazionale possano rendere “superflue” le politiche contro l’indigenza è “una infondata illusione”, senza un vero welfare per i più deboli. In ogni caso “non è vero che qualcosa è meno di niente”, questo lo slogan ribadito da Caritas italiana.
La crisi ha colpito e colpirà ancora i più deboli. Sebbene i dati Istat dicano che la povertà assoluta ha smesso di crescere (dal 7,3% del 2013 al 6,8% del 2014), questo non vuol dire che tutto sia a posto: “Rispetto all’Italia pre-recessione gli indigenti sono più che raddoppiati – afferma Cristiano Gori, docente di politica sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, responsabile scientifico del Rapporto -. La peggiore crisi economica del secondo dopoguerra ha colpito soprattutto i più deboli”. E difficilmente si riuscirà a tornare ai livelli pre-crisi. Anche nei prossimi anni, osserva Gori, l’indigenza sarà “maggiore rispetto al passato e trasversale a tutti i gruppi sociali”, tanto da costituire “un tratto abituale del nostro Paese”.
Politiche sociali “nel segno della continuità”. Povertà diffusa, quindi, anche a causa di un welfare pubblico “ancora del tutto inadeguato”. Nel 2012 i Comuni hanno speso in media 15 euro a persona per servizi e interventi sulla povertà, con un massimo di 22 euro nei comuni del Centro e soli 6 euro al Sud. Per Gori il governo Renzi ha messo in campo politiche sociali “nel segno della continuità” con il passato, anche perché le misure come i bonus non hanno aiutato le persone “incapienti”, quelli cioè che non pagano le tasse perché con reddito inferiore agli 8.145 euro l’anno. Gli 80 euro ai dipendenti, ad esempio, hanno incrementato il reddito delle famiglie indigenti solo dell’1,7%. Nel 2017 il bonus bebè sarà ricevuto solo dal 9% delle famiglie povere. E anche se complessivamente il sollievo sul reddito dei poveri è del 5,7%, quindi “migliore rispetto ai precedenti governi”, si tratta di “un avanzamento marginale” perché raggiunge solo il 20% delle famiglie in povertà assoluta. Il leggero aumento dei fondi nazionali (politiche sociali, non autosufficienza e nidi) è una novità positiva ma ancora esigua rispetto agli stanziamenti pre-crisi. Basti pensare che nel 2008 i fondi nazionali per le politiche sociali erano di 3.169 milioni di euro e nel 2015 di soli 1.233,70 milioni di euro.
Sugli interventi annunciati: il Rapporto Caritas prende in esame anche gli interventi annunciati dall’esecutivo per il prossimo triennio: abolizione della Tasi sulla prima casa nel 2016, riduzione di Ires e Irap nel 2017 e dell’Irpef nel 2018. L’impatto dell’abolizione della Tasi sui poveri sarà “estremamente contenuto” poiché solo il 35% delle famiglie in povertà assoluta la paga. Anche la riduzione dell’Irpef non aiuterà gli incapienti (perché ovviamente non la pagano), mentre Ires e Irap riguardano solo le imprese. Le misure annunciate impatteranno dunque molto poco sui poveri assoluti, visto che non hanno abbastanza soldi o proprietà per pagare queste tasse.