La peculiarità dei trapianti di organi prelevati da cadavere “a cuore non battente” sta nel fatto che la morte del donatore, in condizioni di arresto cardiaco, viene accertata con criteri cardio-circolatori, anziché neurologici. Per questa tipologia di accertamento, la legge italiana prevede un tempo d’osservazione e di tentata rianimazione di 20 minuti dal momento dell’arresto cardiaco (mentre in molti altri Paesi europei è di soli 5 minuti). Un tempo abbastanza lungo perché, data l’assenza di perfusione ematica, organi particolarmente delicati come il fegato possano subire dei danni irreversibili, il che li renderebbero inutilizzabili ai fini del trapianto. È proprio per questa ragione che, finora, questa tecnica non era mai usata nel nostro Paese.
Ma questa volta, i medici hanno provato a risolvere la difficoltà applicando – per fortuna con successo – una metodica impiegata normalmente per la rianimazione dei pazienti: la circolazione extracorporea “Ecmo” (Extra-Corporeal Membrane Oxygenation), la cosiddetta macchina cuore-polmoni, nota alla cronache dopo la pandemia di influenza A/H1N1 del 2009. Il fegato espiantato, dunque, prima di essere trapiantato nel ricevente, è stato “rigenerato” per un tempo congruo (circa 4 ore) nella macchina Ecmo, grazie alla quale è stata mantenuta la temperatura corporea del donatore ed è stata garantita l’ossigenazione dell’organo, ritardando il danno da ischemia. “Questa parte – spiega Luciano De Carlis, direttore dell’équipe di chirurgia generale e dei trapianti del Niguarda – è durata 4 ore, durante le quali abbiamo verificato che non ci fossero problemi ed eseguito una serie di analisi, come la biopsia del fegato”. Solo dopo questo processo, è stato possibile trapiantare l’organo nel ricevente.
“Questo intervento è la migliore dimostrazione – afferma Alessandro Nanni costa, direttore del Centro nazionale trapianti – che nel nostro Paese, pur rispettando pienamente la normativa in atto, notoriamente tra le più ‘garantiste’ al mondo per la regolazione dei trapianti, è comunque possibile ampliare la gamma di possibilità per avere più organi disponibili per i tanti pazienti ancora in lista d’attesa”.
Ma quali potrebbero essere i vantaggi reali di questa metodologia trapiantologica? “Questo intervento potrebbe aprire una strada importante per i trapianti di fegato – commenta De Carlis -, aumentando del 10% il numero di organi utilizzabili”. Una stima prudenziale, riferita al solo periodo iniziale di applicazione della procedura. Ma in futuro questa potrebbe aumentare. “Negli Stati Uniti – aggiunge il chirurgo del Niguarda – dove bastano 5 minuti per dichiarare il decesso dopo che il cuore ha smesso di battere, si parla di un +20-25% di organi disponibili”. Tuttavia, essendo l’accertamento della morte una questione molto delicata ed eticamente sensibile, la maggiore “garanzia” assicurata dalla legge italiana è sicuramente un buon incentivo alla donazione di organi. “In Italia il numero dei donatori di fegato è in linea con il resto d’Europa – afferma De Carlis -. Nel nostro Paese, il problema è piuttosto che i pazienti che hanno bisogno di trapianto sono quasi il doppio rispetto agli organi disponibili”. Attualmente, infatti, il tempo di attesa medio dei pazienti è di circa un anno, escludendo i casi di imminente pericolo di vita, i quali ovviamente hanno la precedenza assoluta.