DIOCESI – Mentre i nostri ragazzi tornano a scuola, i giornali riportano la notizia di corpicini senza vita di bimbi e neonati che affiorano a pelo d’acqua. Come fossero altri Aylan.
Una scena devastante al largo dell’isola greca di Farmakonisi, a una quindicina di chilometri dalla Turchia. Nel complesso le vittime sarebbero almeno 34, tra cui 11 bambini e 4 neonati. Non possiamo restare indifferenti dinanzi a queste scene, “il Vangelo – ha detto papa Francesco – ci chiama, ci chiede di essere “prossimi”, dei più piccoli e abbandonati”. Soprattutto all’approssimarsi del Giubileo della Misericordia”. Dall’inizio dell’anno, secondo i dati diffusi sabato dall’Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni), sono 2.748 i migranti morti o dispersi nelle acque del Mediterraneo dei 430.000 che hanno tentato la traversata verso l’Europa.
Viene in mente l’episodio delle Querce di Mamre (Gen. 18,1-19). Presso la tenda di Abramo e Sara arrivano tre stranieri e, nonostante la precarietà, non solo vengono accolti, ma ospitati. Inaspettatamente arriva la promessa di futuro e di vita: nascerà un figlio! Papa Francesco, nell’invitare ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ad aprire le porte ad una famiglia di profughi ha usato proprio il termine «ospitare». Le parole del Papa, allora, per la Chiesa rappresentano una sfida ben più grande del semplice impegno a cercare locali e spazi per dare una dimora ai rifugiati. Si tratta di iniziare a costruire percorsi di futuro assieme agli uomini che la provvidenza pone sul nostro cammino.
Questo richiede il mettersi in ascolto della novità, l’educare la comunità cristiana ai valori dell’accoglienza e dell’integrazione, il creare percorsi di condivisione e di accompagnamento umano, il raccordarsi con le autorità preposte a tale scopo (prefettura, comune ecc.), l’attivare risorse strutturate e non improvvisate specie per quanto riguarda il volontariato, il fare riferimento alla Caritas diocesana per un necessario coordinamento, il coinvolgere associazioni, movimenti e altre aggregazioni ecclesiali, che possono offrire alla realtà ospitante svariate forme di sostegno organizzato. (Sul sito internet della Diocesi possiamo trovare alcune indicazioni date dalla Caritas sentito il Vescovo www.diocesisbt.it).
La nostra Chiesa per ora ha accolto nella Casa di Grottammare 10 profughi seguiti dalla cooperativa di Casa Lella e ha già la disponibilità per ospitare alcune famiglie qualora ce ne fosse bisogno.
Abbiamo dato come la vedova del Vangelo i due spiccioli che avevamo. E’ bello che l’abitazione di questi nostri fratelli si trovi nelle vicinanza di una Chiesa dove si adora Gesù nell’Eucaristia giorno e notte: l’adorazione Eucaristica non può non portare a servire lo stesso Cristo presente nel corpo di chi ha fame, ha sete, è nudo e senza casa.
Di fronte a questa emergenza, che non è certamente momentanea, diventa essenziale che ogni parrocchia abbia, o istituisca in questa occasione, la propria Caritas. Sollecitati da Papa Francesco e dalle indicazioni del Vescovo Carlo è necessario anche scegliere e concretizzare dei ‘segni giubilari’ nelle vicarie o nelle zone: occorre promuovere collaborazioni pastorali, non è pensabile affrontare da soli le necessità dei poveri! E’ altresì importante che ci sia una sinergia tra Caritas parrocchiale e Caritas diocesana, per questo motivo sono stati programmati incontri mensili di formazione e continuiamo a chiedere ad ogni parrocchia un volontario che possa far servizio al centro e mantenere i contatti con la propria comunità.
All’inizio del nuovo anno pastorale accogliamo l’invito del Vescovo Carlo a ritrovarci nella Sala S. Giovanni Paolo II presso la Parrocchia Sacro Cuore a Centobuchi, giovedì 17 alle ore 21.00 per la presentazione della lettera pastorale e venerdì 18 alle ore 21.00 per un incontro con quanti lavorano nella pastorale della fragilità. Sabato 19 sempre alle ore 21.00 ci ritroveremo in Cattedrale per la Celebrazione Eucaristica e l’ordinazione di un diacono permanente.
Ci aiutino a riflettere le parole di Papa Francesco: “…spesso noi siamo ripiegati e chiusi in noi stessi, e creiamo tante isole inaccessibili e inospitali. Persino i rapporti umani più elementari a volte creano delle realtà incapaci di apertura reciproca: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa…E quello non è di Dio! Quello è il nostro peccato!” (Angelus 06.09.2015)
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