In questi ultimi mesi se ne sono viste di ogni colore. Per i popoli in fuga da Africa e Medio Oriente, da terre non più ospitali per mille motivi, l’Europa è divenuta – suo malgrado – una meta ambita, un “paradiso terrestre”, il sogno di una nuova esistenza, dignitosa, sicura. Ma tra il dire e il fare, tra i sogni e la realtà, ci sono di mezzo ostacoli, tanti veri, altri presunti o creati ad arte, esasperati da chi non vuole impicci sulla soglia di casa. Inutile negarlo, l’accoglienza del migrante può essere un problema. Lo diventa con certezza se si tratta il migrante, il profugo non come essere umano, non come l’evangelico “prossimo”, ma come una minaccia da temere, da scansare, da tener lontano.
Eppure Papa Francesco ricorda che è necessario “globalizzare la solidarietà” e aprire le porte del cuore, assieme a quelle di casa.
È possibile? Sì. E lo è anche attraverso la politica, attraverso i vertici europei (come quello di oggi dei ministri degli Interni Ue e di domani, con i 28 capi di Stato e di governo dell’Unione). Mediante i trattati, le “quote” di redistribuzione, gli indennizzi ai Paesi ospitanti. Il problema – di questo si tratta – non è semplice da risolvere, non esiste una bacchetta magica. Così occorrono diplomazia, senso di responsabilità, realismo, ricorso al principio di solidarietà. I muri han sempre fallito e la storia lo insegna. Serve altro: controlli ai confini con gli hot spot, ossia centri di identificazione e registrazione; un’accoglienza pianificata; il sostegno ai Paesi europei più esposti (dal Mediterraneo ai Balcani) e a quelli maggiormente disponibili ad accogliere (Germania e Svezia insegnano). Ancora: redistribuzione concordata dei richiedenti asilo; lotta agli scafisti; istituzione di campi di prima accoglienza in Africa e Vicino Oriente. Senza dimenticare, per il medio periodo, l’avvio di una vera politica migratoria comunitaria, piani per l’immigrazione regolare, cooperazione allo sviluppo efficace per tirar fuori da miseria e violenza quel mezzo mondo che confina con l’Europa e che non ha pace.
Solo utopia? No, speranza fondata. Perché di fronte alle sfide epocali – e l’immigrazione lo è – bisogna inventare qualcosa di nuovo. Mobilitare la fantasia, accrescere la sapienza, scommettere su una politica che definisce soluzioni percorribili e sulla coscienza dei singoli e dei popoli europei. Evitando di inseguire chimere e di dar retta ai profeti dell’egoismo. Chi emigra insegue una speranza; l’Europa può trasformarsi, già da oggi, da speranza in realtà.