Il Papa arriva nella Grande Mela, in un pomeriggio assolato. L’orchestra dei ragazzi della scuola superiore dei saveriani accoglie Francesco con le note di un motivo famoso: “New York”. Nella mente risuonano le parole e la fantastica voce di Liza Minnelli: “Queste scarpe vagabonde continuano a vagare… se posso farlo qui, posso farlo ovunque… New York, New York…”.
Il Papa scende dalla scaletta dell’aereo, il comandante saluta dal finestrino con la mano aperta, la piccola folla all’aeroporto dedicato al presidente John Fitzgerald Kennedy agita le bandierine. Non ci sono gli inni a New York come non ci sono stati nei viaggi messicani di Giovanni Paolo II per il quale, scendendo dalla scaletta dell’aereo, si potevano ascoltare le note di un canto molto popolare “cielito lindo” che dice: “Cantando si rallegrano i cuori”. Francesco non ha dubbi e li raggiunge per un saluto, per una stretta di mano, una carezza. Gli danno anche un pupazzo, veste bianca e zucchetto. Si è proprio lui, Papa Francesco.
Accoglienza in stile squisitamente americano. E non sono mancati nemmeno gli effetti speciali: due elicotteri tipo presidente degli Stati Uniti si alzano. Uno ospita il Papa. Subito dietro ecco tre aerei del corpo dei marines.
Poi la folla nelle strade della Grande Mela, quasi del tutto bloccata dalla gente. Si vedono solo mani con telefonini, tablet, e poche macchine fotografiche. New York accoglie così il primo Papa latinoamericano.