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Lo sguardo dagli USA: “una visita storica perché Francesco è autorità globale”

di Vincenzo Corrado
Colloquio a tutto campo sul viaggio del Papa a Cuba e negli Stati Uniti d’America con Massimo Faggioli, docente di storia del cristianesimo e direttore dell’“Istituto per il cattolicesimo e la cittadinanza” alla University of St. Thomas a Minneapolis / St. Paul (Usa). Dagli Stati Uniti, in cui vive e insegna, lo storico ci offre una lettura di quello che in tanti hanno definito un “viaggio storico”.Professore, perché questo viaggio apostolico è da considerarsi storico?
“Perché è il primo viaggio di un Papa non europeo in un’America in cui il cattolicesimo è ancora molto europeo, nonostante la crescente parte di latinos e asiatici. Storico anche perché avviene nel quadro della riconciliazione tra Usa e Cuba, in cui la Chiesa cattolica ha giocato un ruolo particolare non solo negli ultimi mesi, ma anche durante tutto il mezzo secolo di rottura dei rapporti. È uno dei contributi del Papa latinoamericano al nuovo cattolicesimo globale”.

Con quali coordinate giudicare la storicità di un evento? E di questo in particolare?

“Lo giudicherei con il fatto che la visita s’inserisce in una storia importante di rapporti tra il Vaticano, la Chiesa cattolica americana e gli Stati Uniti in generale. Molto è cambiato dall’impostazione di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI dei rapporti tra Chiesa e cultura. I tempi sono cambiati e alcune cose devono cambiare, come sta succedendo con Francesco. In questo senso è una visita storica perché mostra che qualcosa è successo nella Chiesa dal 2008 ad oggi, e anche che qualcosa sta per succedere nella Chiesa come sistema istituzionale. Il messaggio di Francesco agli americani – non avere paura di cose nuove – è molto chiaro come riferimento a una situazione in movimento”.

E l’opinione pubblica americana? Molta stampa non è stata tenera con il Papa prima della partenza. Qualcosa è poi cambiato?
“L’opinione pubblica ha accolto bene Papa Francesco, a parte le poche frange ideologizzate sia nella Chiesa sia fuori. A mio parere, dopo la visita, queste frange sono sempre più piccole e autocentrate, e danno l’impressione di essere isolate. Paradossalmente, queste frange ideologiche cattoliche trovano compagnia soltanto nelle voci anticlericali e anticattoliche della stampa americana reazionaria”.

Prima degli Stati Uniti la tappa a Cuba, quasi a sugellare la svolta epocale con la fine dell’embargo. Anche qui un passaggio davvero storico.
“Cuba è, per Francesco, una delle chiavi per capire la questione latinoamericana: i rapporti tra Nord e Sud del continente, tra sistemi ideologici, tra cristianesimo e comunismo. C’è una visione geopolitica del continente, ma anche una visione spirituale della storia che appartiene alla cultura di un gesuita come Bergoglio, toccato dalla politica in modo maggiore di Benedetto XVI e in modo diverso dall’atlantismo di Giovanni Paolo II”.

Negli Stati Uniti un Papa ha visitato, per la prima volta, il Congresso, tenendo un discorso di ampio respiro. Ci saranno dei risvolti concreti nelle politiche Usa oppure resterà solo una visita formale?

“Difficile dire. I rapporti tra i due partiti sono sempre più difficili, come anche tra anime diverse all’interno di uno stesso partito. Il partito repubblicano è il ‘partito religioso’ ma sostanzialmente indisponibile ad agire su questioni-chiave per la Chiesa cattolica come pena di morte, welfare, istruzione. Il partito democratico è diventato il ‘partito laico’ e il politico più vicino a Papa Francesco è Bernie Sanders, senatore ebreo agnostico e socialista che prende molto sul serio la dottrina sociale della Chiesa. Questo dice molto del clima in cui opera la Chiesa cattolica negli Stati Uniti”.

Sempre in quel contesto Francesco ha fatto riferimento esplicito all’accordo con l’Iran sul nucleare, lodando il risultato raggiunto, motivo anche di grandi polemiche. Ci sono stati o ci saranno degli strascichi?
“Non credo, almeno a breve termine. Ma quel passaggio del discorso ha mostrato il coraggio del Papa e dei suoi diplomatici nel prendere posizione su una questione – l’‘Iran Deal’ – su cui molti cattolici americani non sono convinti e su cui il partito repubblicano e la stampa conservatrice hanno montato una vera e propria campagna di propaganda, più che una discussione vera”.

Sulla tappa all’Onu: quale contributo porterà questa visita negli attuali scenari mondiali? Sappiamo quanto l’Onu sia criticata in questo momento.
“Il Papa è oggi la maggiore autorità globale che parla sulle grandi questioni sociali ed economiche, l’ambiente in primo luogo. Non è un inizio ma un ritorno sulla scena globale, ed è benvenuto da tutti. Con Papa Francesco anche le priorità della missione diplomatica all’Onu sono parzialmente cambiate in direzione delle questioni sociali globali, più che solo su quelle morali tipiche della morale cattolica. Il passaggio del Papa sulla riforma dell’Onu dalla struttura data nel 1945 è il contributo più interessante, radicale e difficile da mettere in pratica. Le grandi potenze applaudono ma non hanno alcuna intenzione di raccogliere l’invito”.

Un’ultima domanda: ogni viaggio del Papa ha, prima di ogni cosa, risvolti pastorali ed ecclesiali. Cosa ha lasciato alla Chiesa americana? Quali impegni per il futuro?
“Ha lasciato l’impegno a cercare vie nuove per il futuro senza perdersi nel labirinto ideologico delle guerre culturali. Un messaggio spirituale (il cristianesimo è seguire Gesù Cristo, non un sistema culturale), sociale e politico (la Chiesa ha un messaggio da offrire al mondo e all’America), in una visione di Chiesa aperta al futuro e alle nuove sfide. Vedremo se e come la Chiesa americana raccoglierà la sfida. Ma Papa Francesco ha chiaramente creato un nuovo rapporto tra il pontificato, la Chiesa americana e l’America: questo era l’obbiettivo principale”.

 

Simone Caffarini: