Mentre a New York si parla, in Siria si continua a morire. A gridarlo alle orecchie dei Grandi della Terra, impegnati all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, sono alcuni vescovi siriani, “stanchi delle tante parole e dei pochi fatti” messi in campo dalla comunità internazionale per provare a fermare il bagno di sangue causato dal conflitto, giunto ormai al suo quinto anno, e dai terroristi dello Stato islamico (Is). Nei loro discorsi Obama e Putin hanno ribadito la necessità di combattere e sconfiggere l’Is, mostrando, tuttavia, profonde divergenze sul ruolo del leader siriano Bashar al Assad. Per la Casa Bianca Assad non deve essere sostenuto poiché “ha brutalizzato il suo popolo”. Una soluzione in Siria, pertanto, deve essere “la transizione a un nuovo leader”. Dal Cremlino, invece, è arrivato l’appoggio al governo di Damasco e al suo esercito, “l’unico in grado di sconfiggere l’Is. Non cooperare con Assad è un errore”.
Da Aleppo. “Gli unici che combattono lo Stato islamico sono i curdi e i soldati dell’esercito regolare siriano. Se a New York sono seri non possono pensare di escludere il governo di Assad”, afferma monsignor George Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino. “Solo dopo aver sconfitto lo Stato islamico si negozi una transizione ma è importante non creare un vuoto, perché – spiega il vicario – il rischio è diventare come la Libia se non peggio. Le grandi potenze, purtroppo, guardano solo ai loro interessi anche perché a pagare è questa povera gente privata di tutto, affetti, lavoro, casa. Vogliamo un cessate il fuoco per fermare il bagno di sangue. Si fa presto a parlare da New York, ma vengano qui ad ascoltare la popolazione. Devono decidere sulla base di che? Dei voleri di Qatar o Arabia Saudita o di altri grandi potenze?”. Da Aleppo, città-martire della Siria, da mesi sotto assedio, padre George parla di situazione drammatica anche se “la gente gioisce per la poca acqua che arriva e per l’elettricità che viene erogata per due ore. E intanto mentre si continua a morire e a bombardare c’è chi parla di democrazia e di diritti umani”.
Da Damasco. “Sono cinque anni di guerra durante i quali abbiamo cercato di resistere. Ora la popolazione è stanca e va via, fugge perché non esiste una posizione internazionale che intende combattere unitariamente lo Stato islamico”. Gregorio III Laham, patriarca melchita di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme non usa mezzi termini. I discorsi di New York mostrano chiaramente che “i grandi Paesi non sono d’accordo come combattere e soprattutto chi combattere”. “Mi chiedo – sono le sue parole – come si possa pensare di difendere una nazione da un nemico, senza volerla coinvolgere. E non mi riferisco al presidente Assad, ma al Paese. Non puoi combattere un nemico in casa mia senza che io non sia consultato. Vogliono cacciare Assad spargendo il sangue del suo popolo? Chi deve difendermi? Forse gli aerei americani che vengono da lontano o chi è qui, il governo con l’esercito? Vogliono affossare un popolo per uccidere una persona, il presidente. È un crimine che il Tribunale internazionale dell’Aja deve perseguire”, dichiara il patriarca che ribadisce: “Davanti a un pericolo internazionale è urgente avere una posizione internazionale comune, Siria, Iraq, Turchia, Qatar, Arabia Saudita, Iran, Cina, Ue, Usa e Russia e via dicendo. Una voce che riconosca che il pericolo riguarda tutti, e non solo il Medio Oriente. Rimuovere Assad senza avere l’alternativa è assurdo. In Siria agiscono ben 28 gruppi di opposizione. Sono piccoli gruppi armati, divisi al loro interno e destinati a passare prima o poi nelle fila dello Stato islamico”. Perché, dice Gregorios, “non creare una coalizione che comprenda anche la Siria per combattere l’Is? Una volta debellato questo nemico sono certo che si troveranno soluzioni politiche”. “Questo è ciò che vuole il popolo siriano che aspira alla pace e chiede la fine della sofferenza. I cristiani devono fare la loro parte cominciando a rimuovere le divisioni tra le diversi denominazioni. L’unità darebbe forza morale e sarebbe una risposta all’estremismo islamico”. Anche per l’arcivescovo siro-cattolico di Damasco, monsignor Elias Tabe, “il presidente Assad è l’unico che può ancora tenere insieme il Paese nonostante le correnti contrarie. Essendo stato eletto dal suo popolo deve essere coinvolto nel tentativo di fronteggiare lo Stato islamico”. Ben venga anche il supporto della Russia che, spiega l’arcivescovo, “ha sempre avuto forti legami con il Medio Oriente. I russi conoscono bene il territorio siriano e ciò sarà certamente di aiuto. Tuttavia è inutile negarlo – conclude mons. Tabe – qui la Russia difende anche i suoi interessi. Ma i terroristi dell’Is vanno combattuti”.
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