LOURDES – Riportiamo le parole dell’omelia pronunciata dal nostro Vescovo Carlo Bresciani alla Santa Messa di apertura del pellegrinaggio nazionale Unitalsi. È possibile vedere le foto della prima giornata di pellegrinaggio a questo link.
Vescovo Carlo Bresciani: “Chi siamo venuti ad incontrare in questo pellegrinaggio a Lourdes? Certo siamo venuti con i vari gruppi Unitalsi all’interno dei quali ci conosciamo e ci incontriamo spesso e con i quali abbiamo stabilito rapporti di intensa amicizia e collaborazione.
Ma siamo venuti soprattutto, e in primo luogo, per incontrare: Gesù e Maria, sua Madre. Dobbiamo però chiederci, spingendo un po’ oltre la nostra riflessione: “Quale Gesù incontriamo qui?” La domanda non è oziosa, né retorica, se leggiamo attentamente la prima lettura del profeta Isaia che poi il Vangelo applica al Gesù del venerdì santo. Non è un Gesù glorioso quello che ci viene presentato, tutt’altro. Si tratta di un perseguitato, sfigurato dal dolore, disprezzato, maltrattato, rifiutato dagli uomini, uno di cui nessuno ha stima e che tutti fuggono, senza alcuna bellezza sul volto deformato dal dolore. Viene descritto veramente come l’ultimo che non riceve attenzione da nessuno. E, tuttavia, di quest’uomo viene detto che “per le sue piaghe noi siamo stati guariti”.
Quindi siamo venuti ad incontrare non l’uomo immediatamente osannato dal mondo, pieno di successo, bello, ricco, scoppiante di bellezza e salute, ma il crocifisso, colui che il mondo ha scartato, colui, come dice il profeta Isaia, che “si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori”. Più che scaricare gli altri alla ricerca affannosa di apparire e del successo personale, si è caricato delle sofferenze altrui, condividendo la sorte degli ultimi e dei reietti della società, per sollevare e liberare proprio questi, non necessariamente nel corpo piagato come il suo, ma nella dignità di esseri umani, di figli di Dio da lui amati. In quell’uomo reietto e sfigurato noi possiamo vedere ogni essere umano sfigurato negli aspetti fisici e sociali della vita, ma mai nella dignità di figli di Dio. È Gesù stesso che ci autorizza a questo collegamento, quando nella parabola del giudizio finale dicendo “io avevo fame, io avevo, sete, io ero ammalato” (cfr. Mt 25, 31ss.) si identifica pienamente con queste persone nel bisogno,ma rifiutate.
Quale grande messaggio di liberazione ci viene da tutto questo? Dio non fonda la dignità di noi suoi figli sulla base delle condizioni di salute del corpo o sulla base del successo mondano, non perché in sé queste siano negative, ma perché c’è più dignità umana (e cristiana) in un crocifisso che sa amare, che in un sano o in un ricco che non sa che pensare a sé. Quindi siamo venuti a incontrare un Cristo crocifisso che condivide la comune sorte umana, anche nei suoi aspetti più dolorosi, ma che è icona sicura di un amore di Dio che non abbandona mai neppure l’ultimo dei suoi figli ammalati o rifiutati dalla società; un Cristo crocifisso che portando con amore la croce inflittagli dagli uomini, vince dentro di sé il male e giunge alla pienezza della vita attraverso la piena comunione con il Padre.
Abbiamo detto che siamo venuti per incontrare, anche Maria, la madre di Gesù. Ovvio, siamo venuti a Lourdes. Come ci dice Gesù stesso nel Vangelo che abbiamo proclamato: Maria è affidata da lui stesso sulla croce a Giovanni. Gesù muore e la sua madre, che ha solo questo figlio, resta sola. Chi se ne prenderà cura? Chiede al discepolo che amava di prendersi cura della madre sua. Dolce affidamento, che Giovanni accetta con gioia. La sua missione sarà innanzitutto prendersi cura della Madre di Gesù e lo farà per tutta la vita. Mi piace pensare che Giovanni, il grande cantore dell’amore e della carità, abbia imparato a comprendere e a vivere questo amore proprio prendendosi cura di Maria. Maria attraverso Giovanni è affidata a ciascuno di noi. Siamo, quindi, venuti a Lourdes ad incontrare una madre a cui Gesù ci ha affidato, ma anche a prenderci cura della madre a sua volta affidata a noi. Cosa significa questo? La madre affidata a Giovanni era una donna rimasta sola e bisognosa di qualcuno che con amore si prendesse cura di lei. Gesù con l’affidamento di Maria ci indica la strada da percorrere, in modo analogo a come l’ha indicata a Giovanni: non lasciare le persone sole nelle situazioni di fragilità e di bisogno della vita. Maria ora, assunta in cielo, non ha più bisogno delle cure di Giovanni, ma molte altre Marie continuano a vivere molteplici situazioni di solitudine, di fragilità e di bisogno: Gesù le affida a noi come ha affidato sua madre a Giovanni. Sapremo noi fare onore a questo affidamento, senza alcun clamore come ha fatto Giovanni con Maria?
In Giovanni tutti noi siamo affidati a Maria come figli da lei amati. Maria ai piedi della croce è affranta dal dolore: crudelmente viene privata del figlio amato. Potrebbe chiudersi nel suo dolore, nel risentimento e nell’ostilità verso coloro che l’hanno così provata, verso il mondo intero così crudele. Potremmo umanamente dire che ne avrebbe anche qualche ragione. Ma, invece, Gesù le affida una missione ben precisa, prendersi cura di Giovanni e in Giovanni della Chiesa nascente e, quindi, di tutti noi. Proprio dalla sua terribile prova, dal suo dolore e dalla sua solitudine scaturisce per lei una nuova missione: con Gesù prendersi cura dell’umanità, allargare gli orizzonti del suo amore. Può dare ancora molto, con la discrezione di una madre che sa stare dietro le quinte della ribalta e della visibilità mondana. Con questo affidamento di Giovanni a Maria, Gesù dice a ciascuno di noi che non dobbiamo chiuderci nel nostro dolore, nei nostri rimpianti o risentimenti: accettiamo l’aiuto dei tanti Giovanni che vengono incontro alle nostre necessità e non ci lasciano soli – e preghiamo perché non vengano mai meno nella loro generosità -, ma nello stesso tempo tutti noi, in qualsiasi condizione di vita venissimo a trovarci, dobbiamo prenderci cura di coloro che sono attorno a noi, con un mirabile scambio di doni: anche un semplice sorriso di ringraziamento, quando non potessimo dare altro, può essere un grande modo di prendersi cura di chi ci cura nel corpo e ci sostiene nelle nostre fragilità.
Anche quando le forze fisiche non ci sostengono più e non possiamo restituire nulla su questo stesso piano, come l’uomo di cui ci ha parlato il profeta Isaia, prefigurazione del Messia crocifisso, abbiamo sempre la possibilità di un atto di amore e di attenzione agli altri, come Gesù che sulla croce non si chiude arrabbiato sul dolore ingiustamente inflittogli, ma pensa al perdono e pensa a donare un nuovo figlio alla madre rimasta sola.
Ecco cosa ci dice in questo inizio di pellegrinaggio la parola di Dio: tutti, in qualsiasi condizione siamo amati da Dio. La dignità dell’essere umano non va misurata sulle sue condizioni fisiche o di successo umano; tutti, in qualsiasi condizione ci troviamo, abbiamo qualcosa da donare agli altri, tutti dobbiamo e possiamo prenderci cura gli uni degli altri. È così che viviamo la gioia del Vangelo e diventiamo imitatori di Gesù e di Maria.
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