Il futuro della Siria e di tutta l’area – con gli incalcolabili riflessi umanitari e migratori che già pesantemente si sperimentano in Giordania, Libano, Turchia ed Europa – dipende dalla stessa Siria, dal regime di Assad, dall’Isis e dalle forze in campo di varia provenienza.
Ma sin da ora si possono trarre alcune riflessioni che mostrano quanto ingarbugliata sia la situazione.
Assodate le gravi colpe storiche del regime di Assad, gli interventi militari esterni confermano la malefica e pregiudizievole divisione delle “superpotenze”, le quali continuano a giocare a Risiko sulla testa dei popoli e del mondo. Con il loro intervento sul campo, tutt’altro che concordato, Usa e Russia forniscono fra l’altro un pessimo alibi all’Europa, per sfilarsi dalla zona calda e autoassolversi, incrociando le braccia nell’attesa che qualcun altro levi le castagne dal fuoco. Salvo poi lamentarsi dell’ingerenza di Washington e di Mosca laddove sono evidenti le conseguenze che dallo scacchiere mediorientale ricadranno sul Vecchio continente.
Non di meno, Usa, Russia e Francia si sono mossi senza alcuna visione comune in campo militare, strategico e politico. Così che si rischia realmente di cadere sotto il “fuoco amico”, di intralciare le operazioni belliche altrui che invece dovrebbero congiuntamente rivolgersi verso l’esercito dell’Isis. Si teme che della Siria non rimarrà pietra su pietra, e che si profili una carneficina della quale, in seguito, ciascuno accuserà l’altro.
In assenza del beneplacito e di un coordinamento delle Nazioni Unite e di un accordo tra Obama e Putin, gli sviluppi sono assolutamente imprevedibili, proprio quando invece occorrerebbe un piano concordato per rendere innocue le milizie dello Stato islamico, restituire la pace in Medio Oriente, ridare alla Siria stabilità, favorendovi poi un reale processo di democratizzazione. Una strategia per l’oggi, quindi, e un disegno per il domani. Per questo Usa, Russia, Europa, Paesi Arabi sapranno sedersi allo stesso tavolo?