psicofarmaciBimbapdi Giovanna Pasqualin Traversa

Bambini e psicofarmaci: binomio impossibile? Non sempre. La prudenza è d’obbligo, ma nei casi più gravi i farmaci psicotropi sono indispensabili, almeno nelle prime fasi della cura. La terapia deve tuttavia essere personalizzata e monitorata caso per caso. A rilanciare la questione “psicofarmaci sì – psicofarmaci no” è indirettamente l’ultimo film della Pixar, “Inside out”, accolto da alcuni come una critica all’abuso dei trattamenti farmacologici prescritti ai teenager americani. Negli Usa, ma anche in alcuni Paesi del nord Europa, la popolazione pediatrica che fa uso di psicofarmaci, in particolare antidepressivi e molecole contro il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività (Adhd, nel nostro Paese 90mila casi), sfiora il 2 per cento contro il 2 per mille dell’Italia.
Sofferenze non riconosciute. “Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il 15 per cento della popolazione mondiale soffre di una patologia mentale, e nel 75 per cento dei casi il disturbo psichico dell’adulto ha esordito nell’età evolutiva (infanzia e preadolescenza), spesso in forma di ansia, paure, disturbi del comportamento, anoressia, oppure in età adolescenziale, come depressione – di cui si parla nel film – o schizofrenia, senza essere stato riconosciuto e/o trattato”. Lo sostiene Stefano Vicari, responsabile Neuropsichiatria infantile dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, che nel libro “L’insalata sotto il cuscino” racconta sette casi concreti di malattia mentale di minori – anoressia, depressione, schizofrenia, ansia, ossessioni, compulsioni – che hanno richiesto interventi anche farmacologici.
Farmaci “ponte”. “Bisogna evitare gli atteggiamenti manichei – sostiene Vicari -. Ogni disturbo ha diritto alla sua cura”. Per l’autismo, che colpisce l’1 per cento della popolazione pediatrica, “non esiste un farmaco risolutivo e gli interventi più efficaci sono di tipo psicoeducazionale”. “Terapia riabilitativa” anche per dislessia, e percorso psicoterapeutico per la depressione di lieve entità. Invece, nei casi di depressione grave che porta ad autolesionismo o a ideazioni suicidarie (dopo gli incidenti stradali, la seconda causa di morte sotto i vent’anni è il suicidio), nell’episodio psicotico o nella schizofrenia, “il farmaco è la prima scelta, a volte serve per ‘agganciare’ un paziente in fase acuta, ‘impermeabile’ ad interventi psicologici, educativi e di sostegno, che possono tuttavia essere attuati in una seconda fase, e in alcuni casi può essere successivamente diminuito o sospeso”.
Normalità o patologia? Come capire quando le emozioni negative e le oscillazioni dell’umore di bambini e preadolescenti rientrano nella normalità o sconfinano nella patologia? “La diagnosi non si basa su criteri oggettivi, ma sull’impatto dei sintomi sulla qualità della vita, sul livello di invalidità legato alla patologia. Un’ansia moderata può aumentare il livello di attenzione, ma se riduce o ostacola l’apprendimento scolastico, impedisce di lavorare, scatena crisi di panico, allora diventa patologia”. I ragazzi vanno però rassicurati: “avere pensieri di morte è una spia che indica la necessità di chiedere aiuto”. Per informare e sensibilizzare giovanissimi, genitori e insegnanti, da un anno e mezzo l’Unità di neuropsichiatria del Bambino Gesù organizza incontri nei licei – finora a Roma, Bassano del Grappa, Lodi, Catanzaro – “ma le richieste sono molte”, assicura il responsabile. In questa direzione va anche l’istituzione del call center 06/68592265, attivo sette giorni a settimana, 24 ore su 24, una sorta di pronto soccorso psicologico-psichiatrico per i casi d’emergenza.
Costi e benefici. Nel nostro Paese i farmaci psicotropi vengono prescritti ai minori a ragion veduta, sulla scorta di un piano terapeutico redatto da uno specialista, assicura Antonio Clavenna, responsabile ‘Unità farmacoepidemiologia-laboratorio per la salute materno infantile Istituto di ricerche Mario Negri di Milano. Nel caso del metilfenidato, utilizzato per la cura dell’Adhd, esiste addirittura “un apposito Registro nazionale di farmacovigilanza presso l’Istituto superiore di sanità, corredato di strumenti diagnostici, che consente anche di mantenere i pazienti sotto osservazione”. Sui possibili rischi per lo sviluppo neurologico e cognitivo legati all’utilizzo di psicofarmaci in età evolutiva, Clavenna ammette: “Il timore esiste, si sa ancora poco”. Gli studi finora condotti riguardano il breve periodo. Taglia corto Vicari: “In parte è vero, c’è il rischio di possibili interazioni con lo sviluppo, ma quando un disturbo può determinare episodi drammatici che mettono in pericolo la vita del minore, bisogna fare un bilancio costo-beneficio: è più grave il rischio determinato dall’impiego del farmaco o il rischio per l’incolumità del paziente senza terapia?”. Non esiste insomma un sistema di cura standard. L’approccio deve tuttavia essere prudente, personalizzato e integrato; il dibattito sgombro da emotività e posizioni precostituite, e fondato su evidenze scientifiche.

 

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