Non solo “trade”, vendita in libreria o via net, che raggiunge il 34,3 per cento: il particolare che rischia di passare inosservato è che il settore scolastico, il cosiddetto “education”, somma ormai il 13 per cento di Mondadori (che ha lanciato il piccolo topo di Walt Disney in Italia) all’11,8 per cento di Rcs, editrice della Enciclopedia Italiana: vale a dire che raggiunge il 24,8. Nel settore trade l’operazione ormai ribattezzata “Mondazzoli”, non fa che rafforzare una posizione già maggioritaria prima, perché qui Mondadori aveva il 24,4 per cento del mercato, mentre Rcs era terza, dietro Gems (Mauri-Spagnol), con quasi il 10 per cento. Nel settore scolastico invece le cose stavano diversamente: Mondadori non era la prima della classe, per rimanere in tema, perché Zanichelli (17,8) e Pearson (15,1) occupavano i primi due posti del podio, e Rcs era quarta. Con quel quasi 25 per cento il nuovo colosso dei colossi rischia di iniziare a dettare legge in un settore delicatissimo, dove passano messaggi cruciali per la costruzione della mente: non dimentichiamo che si parte dalle elementari e si arriva alle soglie dell’università, attraversando una fascia d’età facilmente influenzabile. È qui che si gioca la partita più importante, anche se buona parte dell’informazione l’ha retrocessa in seconda posizione o nelle note a piè di pagina, e i motivi non è che siano così imperscrutabili. Si gioca qui il futuro della coscienza.
La differenza con il settore trade è anche e soprattutto questa. Chi vi scrive ha ascoltato molti piccoli editori, e non tutti erano spaventati: qualcuno, ad esempio, mette in conto una maggiore possibilità di fare qualità rispetto al passato. Altri onestamente ammettono che “grande” potrebbe significare più posti di lavoro rispetto a “piccolo”, anche se alcuni intellettuali hanno paventato il rischio opposto, della cancellazione di posti di lavoro in vista di una ristrutturazione in seguito ad una acquisizione così onerosa (127,5 milioni di euro). Senza mettere in conto il prossimo verdetto dell’Antitrust.
Lo stesso ministro Dario Franceschini – che per inciso è un autore Bompiani, quindi Rcs – ha espresso le sue perplessità sull’operazione che frazionerebbe il resto dell’editoria in tante piccole ed economicamente fragili realtà e che potrebbe essere a suo avviso l’assaggio di una vendita “del nostro patrimonio (…) ad un grande editore straniero”. Altri autori Bompiani hanno lamentato il fatto che questo gigantesco cartello editoriale “renderebbe ridicolmente prevedibili” le competizioni, leggi i premi letterari, in primis lo Strega. E qui c’è da dire che già da molto tempo queste “competizioni” erano praticamente terra di conquista delle grandi, e che l’assorbimento di Rcs in Mondadori non è che cambi un granché quella parte di mondo letterario. Che alcuni vorrebbero abolire, perché non si parte con le stesse possibilità come in una qualsiasi vera competizione.
Alcune delle domande più inquiete insomma rimangono le stesse di prima: siamo sicuri che gli scrittori davvero bravi arrivino non diciamo ai premi, ma anche solo ad editori seri? Quali sono le strategie che regolano le modalità di scelta dei cosiddetti “lettori” editoriali, vale dire coloro che decidono se pubblicare o no un libro?
Molti sono disposti a scommettere che dal punto di vista della qualità le cose non cambieranno, perché i grandi trust si comprano apposta alcune editrici di nicchia, per conservare una fascia di qualità. O per far vedere che lo fanno.
E qui allora si torna alla domanda di prima. Chi deciderà la qualità? E con quali princìpi? Il nostro discorso finisce là dove era iniziato: nella scuola. Quali princìpi saranno alla base delle scelte in un settore che decide il futuro e la coscienza stessa di persone in formazione, che possono subire bombardamenti ideologici subliminari e non apertamente enunciati? Potrebbe non essere un caso che il nuovo monopolio nel settore education sia stato “lisciato” da una parte dell’informazione.