Un gioco, dunque. Ma anche un fenomeno “culturale” globale, un intrattenimento ipermoderno, una modalità di mettersi in relazione mediante Internet; nonché un affare economico di proporzioni difficilmente calcolabili.
Ma sono quei 6,7 milioni di dollari del primo premio che fanno pensare. Soprattutto a fronte dell’assegno rilasciato ai vincitori di un Nobel, sia esso per la pace, l’economia o la fisica, attorno a 900mila dollari. Come dire che – per fare un esempio – la vita di studi di uno scienziato intesa ad alleviare sofferenze umane o a salvare vite, ricompensato con il Nobel della medicina, vale meno, un bel po’ meno, delle abilità di un campione di videogiochi.
Lo stesso potrebbe dirsi, per fare un altro esempio, di chi si batte per i diritti umani, a rischio della propria incolumità e di quella dei propri cari. Ebbene, il Premio Sakharov “per la libertà di pensiero” assegnato ogni anno dal Parlamento europeo a uno di questi eroi vale un assegno di 50mila euro.
Certo, si potrebbero fare tutti i discorsi del mondo. A partire da quello sugli stipendi d’oro dei calciatori (anche di quelli più scarsi sul campo), i quali però, ci spiegano gli esperti, attirano sponsor e diritti televisivi milionari, facendo infiammare i tifosi e riempiendo di sé, più che di calcio giocato, le pagine dei giornali e le trasmissioni tv. Così un bravo insegnante di filosofia o un coscienzioso impiegato di banca “valgono” di meno di un centrocampista quando, alla fine del mese, si ritira lo stipendio.
Segni dei tempi? Anche. Senza scandalizzarsi né invocare un ritorno al “c’era una volta”. Ma senza perdere una pur sempre lodevole capacità di indignarsi.