La cifra che impazzava e rimbalzava grazie agli smartphone e a WhatsApp, fatte salve alcune esagerazioni da leggenda metropolitana, indicava in 6,7 milioni di dollari il primo premio – da dividere fra i 5 giocatori della squadra vincitrice – per il Dota 2 International, una sorta di campionato del mondo del videogioco che va per la maggiore negli States come in Giappone, in Corea fino a Canicattì e a Ponte di Legno. Torneo disputatosi alla KeyArena di Seattle lo scorso 3-8 agosto, ma che di fatto prosegue senza sosta, almeno sugli schermi di milioni di giocatori imperterriti, fedeli, abili, connessi e in rete tra loro. Addirittura il montepremi totale del Dota 2 (le cui fasi finali sono state trasmesse anche sui megaschermi dei cinema, mentre oltre 2 milioni di spettatori erano collegati contemporaneamente) superava i 18 milioni di dollari, grazie a un complesso meccanismo di vendite e sponsorizzazioni. Insomma, una schiera di ragazzi e non-più-ragazzi che partecipa al torneo di eSport più amato e globale, praticato senza mai alzarsi dalla sedia né staccarsi dal pc, magari spiluccando sane merendine zuccherate e bibite gassate.
Un gioco, dunque. Ma anche un fenomeno “culturale” globale, un intrattenimento ipermoderno, una modalità di mettersi in relazione mediante Internet; nonché un affare economico di proporzioni difficilmente calcolabili.
Ma sono quei 6,7 milioni di dollari del primo premio che fanno pensare. Soprattutto a fronte dell’assegno rilasciato ai vincitori di un Nobel, sia esso per la pace, l’economia o la fisica, attorno a 900mila dollari. Come dire che – per fare un esempio – la vita di studi di uno scienziato intesa ad alleviare sofferenze umane o a salvare vite, ricompensato con il Nobel della medicina, vale meno, un bel po’ meno, delle abilità di un campione di videogiochi.
Lo stesso potrebbe dirsi, per fare un altro esempio, di chi si batte per i diritti umani, a rischio della propria incolumità e di quella dei propri cari. Ebbene, il Premio Sakharov “per la libertà di pensiero” assegnato ogni anno dal Parlamento europeo a uno di questi eroi vale un assegno di 50mila euro.
Certo, si potrebbero fare tutti i discorsi del mondo. A partire da quello sugli stipendi d’oro dei calciatori (anche di quelli più scarsi sul campo), i quali però, ci spiegano gli esperti, attirano sponsor e diritti televisivi milionari, facendo infiammare i tifosi e riempiendo di sé, più che di calcio giocato, le pagine dei giornali e le trasmissioni tv. Così un bravo insegnante di filosofia o un coscienzioso impiegato di banca “valgono” di meno di un centrocampista quando, alla fine del mese, si ritira lo stipendio.
Segni dei tempi? Anche. Senza scandalizzarsi né invocare un ritorno al “c’era una volta”. Ma senza perdere una pur sempre lodevole capacità di indignarsi.