In un’Italia secolarizzata, l’adesione al cattolicesimo è ancora diffusa. Si tratta però, in larga misura, di un’appartenenza “etnico culturale” piuttosto che di fede. Positivo il “movimento” portato da papa Francesco, “più padre che giudice, attento a lenire le ferite”, come pure il suo continuo appello alla conversione e alla misericordia, che tuttavia si scontra con la diffidenza di certe frange del cattolicesimo. È l’analisi che propone Franco Garelli, docente di sociologia della religione all’Università di Torino, parlando di “religione all’italiana”. Questo, infatti, è il filo conduttore – mutuato dal titolo di un suo saggio del 2001 pubblicato da “Il Mulino” – dell’incontro che terrà questa sera (15 ottobre) all’Antonianum di Padova, introducendo gli incontri per il 2015/2016 del Gruppo diocesano di studio e formazione sui nuovi movimenti religiosi.
Professore, cosa significa oggi “religione all’italiana”?
“S’intende il fatto che la religione è parte integrante del tessuto sociale, della vita familiare e della biografia di molti individui. È una sorta di risorsa d’accompagnamento dell’esistenza. Teniamo presente che ancora oggi circa l’80% della popolazione adulta si dichiara cattolica: ciò vuol dire che per molti la religione ha una valenza più culturale che spirituale, è un elemento d’identificazione etnica più che propriamente religiosa”.
Che ruolo rivestono le altre confessioni religiose?
“Anche nelle minoranze religiose vi sono persone che possono vivere la loro fede in maniera culturale: pensiamo agli ortodossi, ma anche agli islamici. La religione è sempre un fattore d’identificazione, ma in Italia è estesa questa quota di popolazione che la vive in maniera ‘etnico-culturale’. Certo, non è l’unico modo di vivere la religione, e il cattolicesimo in particolare”.
Ossia?
“A fianco di coloro che possiamo definire ‘cattolici di famiglia’, troviamo quelli ‘attivi convinti’ e i ‘selettivi’, che interpretano il cattolicesimo secondo propri ritmi e tempi. E poi, ovviamente, quanti dichiarano un’appartenenza culturale senza un riferimento religioso. Infine le minoranze: una percentuale di popolazione che si rifà al cristianesimo ortodosso, all’islam, a realtà evangeliche, alle sette”.
E i nuovi movimenti religiosi?
“Queste sono realtà molto piccole, come la ‘new age’, che hanno avuto la loro stagione vent’anni fa, mentre oggi sono decisamente più in forza le religioni storiche. Non solo in Italia, ma in tutto il mondo i nuovi movimenti religiosi vivono una fase discendente”.
Ci sono caratteristiche particolari del cattolicesimo sotto il pontificato di Francesco?
“Certamente questo Papa ha creato movimento nella Chiesa, rendendo sensibile alla proposta religiosa una quota di popolazione più laica, che precedentemente era distante per un atteggiamento anti-istituzionale, perché non condivideva le posizioni della Chiesa nel campo della morale sessuale o le ‘ingerenze’ in campo politico, o ancora perché parlare di valori irrinunciabili creava una selettività all’interno della società. Tanti guardano con fiducia e speranza verso papa Francesco. Ciò premesso, non significa automaticamente che s’incamminino verso un percorso di fede, ma certamente la credibilità della Chiesa sta acquisendo maggior spazio con un pontefice avvertito come prossimo alla condizione umana, più padre che giudice, attento a lenire le ferite dei fedeli e degli uomini di buona volontà piuttosto che a tenere fuori dal recinto della Chiesa chi sbaglia”.
E tra i fedeli “convinti”? Percepisce un’inadeguatezza del mondo cattolico rispetto all’attuale pontificato?
“Le reazioni sono discordanti. La grande maggioranza mi sembra molto contenta di questa apertura, dell’avvertire un Papa meno dogmatico e più pastore universale, vicino alla condizione di tutti e capace di aprirci prospettive come l’attenzione alle periferie umane, esistenziali e geografiche. Una certa quota, però, è sconcertata, avverte un Pontefice molto orientato sugli aspetti della giustizia sociale e dell’impegno per gli ultimi, troppo prossimo alla gente per mantenere un senso di sacralità che ritengono essenziale per quel ruolo. O temono che certe aperture creino confusione dentro alla Chiesa. È senz’altro una minoranza, ma non possiamo negare che ci sono persone che guardano a questo Papa con delle riserve”.
Ma, tornando alle categorie “sociologiche” dei cattolici, a suo avviso possiamo dire che papa Francesco riavvicina alla fede una parte dei tanti che hanno un’appartenenza “etnico culturale”?
“Bergoglio richiama di frequente l’importanza della conversione personale, la coerenza tra le parole e gli stili vita. Quanto ciò si traduca nel fatto che le persone non vivano un’adesione solo culturale o valoriale, ma s’incamminino verso una prospettiva di fede, è però difficile valutarlo”.
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