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Sorelle Clarisse: Dio ama in “perdita”, ama senza contare e calcolare, inginocchiato per essere il più vicino possibile alla nostra piccolezza

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza sulle letture di domenica 18 ottobre.

Sommo Sacerdote grande: così ci viene presentato Gesù dall’autore della Lettera agli Ebrei nel testo che ci viene proposto come seconda lettura nella liturgia di questa domenica. Gesù solo è il mediatore, Lui solo è ponte tra uomo e Dio, Lui solo ci mette in contatto con il Padre.

Sommo sacerdote grande: è una terminologia che probabilmente ci fa immaginare una figura regale, impassibile, gloriosa, potente; ci fa pensare ad un Dio padrone dell’universo, Signore dei Signori, giudice regnante al di sopra dei cieli. E come Giacomo e Giovanni, nell’episodio del Vangelo, sicuramente anche noi potremmo arrivare a pronunciare la stessa richiesta “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”.

Ma un tale sommo sacerdote non sarà troppo grande rispetto a noi uomini per essere capace di comprenderci e di effettuare davvero una mediazione salvifica a nostro favore presso Dio?

Se scrutiamo attentamente tutta la Parola di questa domenica, scopriremo ben presto chi è e quali sono i caratteri di Gesù sommo sacerdote, quel Gesù che ci ha aperto la strada attraverso i cieli verso cui tutti noi siamo chiamati.

Chi è Gesù Figlio di Dio? E qual è la strada che siamo chiamati a percorrere con Lui? E qual è realmente il trono di gloria, alla sua destra e alla sua sinistra, a cui non solo possiamo ma dobbiamo aspirare?

La stessa lettera agli Ebrei ci parla di un Dio che ha preso parte alle nostre debolezze, un Dio capace di compassione per tutti coloro che si trovano in una situazione di prova o di tentazione perché Lui stesso le ha sperimentate; un Dio, come ci dice il profeta Isaia, prostrato e offerto in sacrificio, che si è addossato ogni nostra iniquità, che si è fatto olocausto per ciascuno di noi; un Dio, scrive Marco nel Vangelo, venuto per essere servo, per essere schiavo di tutti.

Non si tratta di una sofferenza fine a se stessa, Dio non vuole con sé uomini umiliati, sottomessi, senza dignità: “Ecco l’occhio del Signore è su chi lo teme, su chi spera nel suo amore, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame”. E’ il Dio che dona la sua vita, senza risparmiarsi, perché noi abbiamo la vita, è il Dio che si abbassa, passando attraverso i cieli, perché noi possiamo rialzarci alla dignità di uomini. E’ il sommo sacerdote, il mediatore, che si perde totalmente nell’uomo: che ama per primo, ama in perdita, ama senza contare e calcolare, il Dio inginocchiato per essere il più vicino possibile alla nostra piccolezza.

Per noi quindi, essere servi è partecipazione all’azione di Dio nel mondo, è entrare nel suo amore per gli uomini, reso visibile ed efficace in Gesù, il Figlio dell’uomo.

 

Redazione: