Sono testimonianze di gioia e di dolore, di gratitudine e di sofferenze, di vita quotidiana realmente vissuta, quelle che si respirano negli interventi delle diverse uditrici che si sono avvicendate nel corso dell’undicesima e della dodicesima Congregazione generale del Sinodo sulla famiglia, svoltesi rispettivamente il 15 e il 16 ottobre.
Ognuna di esse ha portato la propria esperienza di madre, moglie, consacrata, educatrice, o semplicemente di ‘esperta’ in materia. Ognuna ha affrontato un tema specifico: dalla violenza e gli abusi alla sfida di una pastorale per giovani coppie, dal ruolo fondamentale della donna nella famiglia e nella società a quello ancora troppo sommesso nella Chiesa. Ognuna ha offerto, insomma, ai Padri sinodali uno spunto per avere un ventaglio ancora più ampio e chiaro di quale sia oggi la realtà delle famiglie.
Patrizia Paloni, ad esempio, moglie di Massimo, itineranti del Cammino Neocatecumenale in Olanda, ha fatto risuonare in Aula la propria gratitudine alla enciclica di Paolo VI Humanae Vitae, “con la quale la Chiesa come madre e maestra mi ha annunciato la verità sulla vita”. I due sono infatti genitori di 12 figli, tra cui Davide, a 4 mesi la ‘star’ del Sinodo 2015.
“Fin dai tempi del fidanzamento, la conoscenza del Magistero della Chiesa è stata una promessa che mi ha riempito di gioia, perché potevo aderire alla volontà di Dio scegliendo liberamente per la vita”, ha spiegato la madre 41enne. Che ha rimarcato come non sia stato un “peso” vivere la fedeltà coniugale e l’apertura alla vita “accogliendo tutti i figli che Dio ci voleva dare”. “Ho sperimentato – ha detto – che la paternità responsabile non è decidere il numero dei figli, quanto piuttosto essere consapevole della grandezza della vocazione di collaborare con Dio alla creazione di figli per l’eternità, figli che diano gloria a Dio”. E oggi – ha affermato Patrizia – “mi sento felice e realizzata come donna, sposa, madre”.
Diverso il tono dell’intervento di Lucetta Scaraffia, coordinatrice del mensile deL’Osservatore Romano “Donne chiesa mondo”. Un tono quasi di amarezza per la scarsa considerazione che spesso la Chiesa stessa riserva all’universo femminile. “La Chiesa ha bisogno di ascoltare le donne – ha detto la studiosa ai Padri -, di ascoltare cosa ritengono di avere perso e cosa guadagnato nel grande cambiamento, di ascoltare quale famiglia vorrebbero oggi”.
Perché le donne “sono le grandi esperte di famiglia”; ma purtroppo – e questo Sinodo lo dimostra, sia nell’Instrumentum laboris che nei contributi – di loro “si parla pochissimo”. “Come se le madri, le figlie, le nonne, le mogli, cioè il cuore delle famiglie, non facessero parte della Chiesa, di quella Chiesa che comprende il mondo, che pensa, che decide. Come se si potesse continuare, perfino a proposito della famiglia, a far finta che le donne non esistono…”.
In tutte le famiglie del mondo – ha evidenziato Scaraffia – “sono le donne a svolgere il ruolo più importante e decisivo per garantirne solidità e durata”. E quando si parla di famiglie “non si dovrebbe parlare sempre e solo di matrimonio”, perché “sta crescendo il numero di famiglie composte da una madre sola e dai suoi figli”.
Sono infatti le donne “a rimanere sempre accanto ai figli, anche se malati, se disabili, se frutto di violenza”. E queste donne, queste madri non hanno seguito corsi di teologia, forse non sono neppure sposate, ma danno ugualmente “un esempio mirabile di comportamento cristiano”. Allora bisogna guardarle, ascoltare, perché altrimenti – ha avvertito l’esperta – si rischia “di farle sentire ancora più disgraziate”, perché troppo lontane dal modello di famiglia perfetta di cui si discute nel Sinodo.
Di donne ‘perfette nella loro imperfezione’ ha parlato anche Agnes Offiong Erogunaye, presidente Nazionale della Catholic Women Organization of Nigeria, che si è fatta portavoce in Aula di tutte le donne in Africa, specie quelle del suo paese martoriato dalle violenze estremiste di Boko Haram. Violenze che costringono queste madri e mogli, anche giovanissime, già abituate al “sacrificio” e alla totale “dedizione”, a lavorare ancora più sodo per tenere in piedi le proprie famiglie in mezzo a tali calamità. E tutto “con o senza il contributo dei loro coniugi”.
“Dalla mia esperienza vicino alle donne in questo momento difficile – ha raccontato Erogunaye – posso dire con piena fiducia che, anche se l’uomo è il capo della famiglia, la donna è il cuore della famiglia. E quando il cuore smette di battere la famiglia muore, perché la fondazione è scossa e la stabilità distrutta”. In Nigeria, ha aggiunto, “le donne cattoliche non sono solo costruttori edili”, bensì “una forza da non sottovalutare quando si parla di spiritualità, di economia, di crescita nella Chiesa”. Per non parlare del loro contributo per alleviare le sofferenze delle famiglie colpite dai ribelli di Boko Haram. “Questo momento di dolore – ha soggiunto l’uditrice – spiega la natura del ruolo della donna: una donna è resistente, coraggiosa e ancora molto compassionevole”.
Parole, queste, che hanno trovato fondamento nell’intervento di suor Maureen Kelleher, religiosa statunitense del Sacro Cuore di Maria, attiva da 31 anni come avvocato per la giustizia e i diritti dei migranti impiegati nelle aziende agricole della Florida. “Un lavoro che amo”, ha detto. O in quello di Brenda Kim Nayoug, impegnata nella pastorale della gioventù e delle giovani coppie sposate in Corea, che ha ribadito l’urgenza che la Chiesa “accolga, incoraggi e inviti” tutti i novelli sposi, soprattutto quelli ai primi anni di matrimonio, perché la società “non sembra prestar loro molta attenzione”. Invece la Chiesa e “tutta la comunità cristiana” sono chiamate “a mostrargli modi specifici per essere una famiglia sana” e “trasmettere la loro fede ai figli in futuro”.
Infine suor Berta María Porras Fallas, responsabile della Pastorale Familiare delle Sorelle Terziarie Cappuccine della Sacra Famiglia in Costa Rica, che ha illustrato punto per punto la sua opera di formazione per la “realizzazione vocazionale” delle coppie di futuri sposi, snocciolata in temi come il discernimento, l’amore, la sessualità, la creazione uomo-donna, il rapporto coniugale. Una “sfida enorme”, ha sottolineato la religiosa.
Come lo è anche quella condotta dall’australiana Maria Harries, direttrice nazionale della pastorale familiare e della preparazione al matrimonio, che ha raccontato della sua esperienza ventennale come membro della Commissione Nazionale per gli abusi sui minori. Abusi da parte delle famiglie e del clero: “due livelli di agonia”, ha rimarcato, a cui spesso la Chiesa australiana non ha saputo rispondere adeguatamente provocando un’emorragia di fedeli. Tuttavia, ha detto la Harries, “nelle parole di Papa Francesco, di pregare per ‘ricevere la grazia della vergogna’, abbiamo trovato le modalità, locali e collettive, per stare accanto a tutte queste vittime e alle loro famiglie” e anche per “ascoltare molto profondamente”. “Dalle nostre mancanze e dal dolore che ci accompagna – ha aggiunto – abbiamo l’opportunità di imparare insieme, e forse anche dottrinalmente, per coinvolgere nuovamente e accompagnare le migliaia di famiglie che abbiamo perso. In tal modo, sapremo davvero arricchire la nostra grande e gioiosa Chiesa”.