Dal 12 al 16 ottobre la Fondazione Migrantes ha convocato a Brescia i missionari e gli operatori pastorali impegnati accanto agli emigrati italiani in Europa. Il convegno, sul tema “Gli emigrati italiani e le Chiese in Europa”, ha riletto 50 anni di vita pastorale nelle Missioni cattoliche italiane (Mci) in Europa con una serie di relazioni, tavole rotonde e tre pellegrinaggi: a Sotto il Monte, luogo natale di papa Giovanni XXIII con la concelebrazione presieduta dal vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi; a Concesio, luogo natale di Paolo VI con la concelebrazione presieduta dal vescovo di Brescia, mons. Luciano Monari, e a Nigoline, patria del vescovo Geremia Bonomelli, con la concelebrazione presieduta dal segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Nunzio Galantino. Per fare un bilancio dei lavori abbiamo rivolto alcune domande al direttore generale della Migrantes, monsignor Gian Carlo Perego.
Cinquant’anni di emigrazione in Europa: quale il ruolo delle Mci?
“Il volto dell’emigrazione italiana è cambiato dagli anni ‘60 ad oggi: da lavoratori in prevalenza operai, artigiani, si è passati a famiglie studenti, laureati; da un calo dell’emigrazione, con un aumento dei rientri dalla metà degli anni ‘70 fino a metà del primo decennio del Duemila si è ritornati nell’ultimo decennio a una crescita, complice la crisi economica, delle partenze, con un aumento di oltre il 50% di emigranti, passati da 3 milioni a oltre 4 milioni e mezzo, come ha ricordato il recente ‘Rapporto Italiani nel mondo’, che la Migrantes pubblica da un decennio. Questo cammino diverso dell’emigrazione ha sempre visto la compagnia della Chiesa, attraverso le missioni/comunità e presbiteri diocesani e religiosi. Una compagnia che viene, da una parte, dall’essere la Chiesa stessa – come ricorda Lumen Gentium 10 – un popolo formato anche da coloro che camminano, che sono emigranti; dall’altra, dall’essere la Chiesa stessa in cammino, pellegrinante (G.S.40). La pastorale dell’emigrazione in questi cinquant’anni, attraverso le Missioni cattoliche di lingua italiana, ha rappresentato questo volto di Chiesa estroversa, ‘in uscita’, per dirla con Papa Francesco, coniugando sempre la storia delle persone migranti, le loro esigenze familiari e sociali, le loro sofferenze e i loro progetti, con l’annuncio del Vangelo”.
In Europa cambia l’emigrazione italiana: cosa è emerso dal convegno di Brescia?
“Il convegno di Brescia, con il contributo attento e vivace di oltre 150 presbiteri e operatori pastorali, ha voluto fare il punto da una parte sul volto di un’Europa che sta cambiando sul piano politico e sociale, ma anche ecclesiale, ma al tempo stesso che deve ancora crescere insieme. Come una politica sull’immigrazione e sull’asilo è ancora debole e disorganica, così anche l’azione pastorale risente di modelli nazionali differenti. A Brescia, però, è emersa la sfida di una pastorale delle migrazioni in Europa che sia condivisa, guardando più che ai vecchi modelli di organizzazione su base linguistica (Chiese nazionali, parrocchie linguistiche, cappellanie…) a nuovi modelli fondati su storie di relazioni, legami nuovi con al centro la Chiesa locale e strutture agili che sappiano incontrare i nuovi emigranti, soprattutto giovani, ma anche provocare a una rilettura della propria esperienza di vita alla luce della fede. Anche le esperienze di ‘comunità di comunione’, dove si valorizzano le differenze (il progetto in Belgio) o la parrocchia multietnica di Helsinki, o la pastorale in strada a Barcellona, meta di molti giovani italiani, sono esperienze interessanti in atto nel contesto europeo”.
Quali le principali difficoltà e quale ruolo possono avere le Mci oggi?
“La difficoltà maggiore di oggi è quella di ripensare i modelli pastorali alla luce di un’emigrazione che cambia volti, fatta spesso di tempi brevi – pensiamo, ad esempio, ai lavoratori precari o stagionali o agli studenti Erasmus – di spostamenti continui anche nel contesto europeo, di andata e ritorno dai Paesi di provenienza per la facilità dei mezzi di trasporto. Sul piano pastorale una difficoltà è riuscire a condividere strutture e spazi per un’attività insieme, nello stesso luogo, sentendo la parrocchia o l’unità pastorale una ‘casa comune’ – come ha detto il vescovo ausiliare di Losanna-Ginevra-Friburgo, monsignor Alain de Raemy, intervenendo al convegno. Un’ultima difficoltà è il calo dei presbiteri e dei religiosi che si dedicano alla pastorale dei nostri emigrati: un calo che s’inserisce nella cosiddetta parabola del clero e che sta interessando Istituti religiosi e diocesi italiane. Per questa ragione, anche alla luce del Concilio Vaticano II, il protagonismo di laici emigranti, con le loro famiglie, può diventare la vera risorsa per un’esperienza di Chiesa anche lontano dalle proprie parrocchie, condivisa con le parrocchie dei luoghi dove si lavora o si studia in Europa”.