In fin dei conti, anche di questa nuova legge di stabilità “espansiva”, il vero punto sono gli enti locali: dare respiro alle nostre città. È una delle due leve – accanto a quella fiscale – per dare risposte a un senso di malessere, di disagio, di protesta e dare un segno di cambiamento, di fiducia.
L’ottimismo, soprattutto di questi tempi, non s’impone per decreto, né si crea attraverso un sofisticato sistema di comunicazione. Ma si possono costruire percorsi positivi, di una politica che dà risposte e non drena, ma valorizza le energie. Innanzitutto abbassando e soprattutto razionalizzando (nel senso di rendere più equa, semplice e chiara) la pressione fiscale. E poi, o meglio contemporaneamente, rilanciando le amministrazioni e, dunque, il tessuto di vita e di sviluppo locale.
Certo, è un problema di risorse, di vincoli. Ma non solo. In realtà, per superare una percezione di stallo, d’ingovernabilità e, dunque, il riflesso quasi obbligato di protesta che ne deriva, spesso oltremodo legittima, si tratta prima di tutto di ritrovare un circuito di classe dirigente di servizio.
Che è un’alchimia molto delicata. Ma, oggi più che mai, è un orizzonte strategico.
Stante la trasformazione delle forze politiche in aggregato di gruppi, se non c’è un circuito positivo di classe dirigente, che implica responsabilità e controllo, l’amministrazione è consegnata volta per volta a gruppi limitati e spesso rapaci, con orizzonti di breve periodo e gli esiti che quotidianamente leggiamo sulle pagine dei giornali.
Il rimedio a questa situazione non può solo essere affidato alla repressione, e neppure lo sono la moltiplicazione di commissari anticorruzione, o la verticalizzazione del potere.
Il rimedio è nel tessuto, anche se in molti casi può apparire sfilacciato, logorato. Ritrovarlo significa rilanciare l’orizzonte civico, ovvero civile: due parole che hanno la stessa radice. Difficilmente possono farlo oggi dal centro le forze politiche, anche quelle che fanno della protesta la loro ragione sociale. Occorre che altri soggetti si mettano in gioco, nelle diverse realtà locali. Se in un organo vivo come la città si agisce per comparti, avvizzisce. Solo da un circuito di soggetti possono scaturire vocazioni e disponibilità ad assumere responsabilità, disinteressate.
Tutti quindi sono chiamati in causa. A partire dai cattolici. Va bene lavorare sulle emergenze, ma papa Francesco non si stanca di ripetere che la Chiesa non è una Ong e che i laici cattolici devono sapere assumere l’iniziativa. La caratteristica della Chiesa in Italia è avere una forte vertebratura nazionale e, nello stesso tempo, una profonda radice locale. Per questo, può rendersi disponibile a questa intrapresa di servizio, che poi altro non è che la concreta promozione della soggettività della società. Perché è ormai chiaro che proprio un tessuto, un orizzonte civico e civile, orientato al bene comune, fa la differenza tra sviluppo e decadenza. Muoversi con urgenza significa rispondere a vera e propria emergenza.