Nel tarantino “occorre salvare il lavoro e ridurre l’inquinamento attraverso un nuovo patto sociale che superi l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) del Governo e coinvolga tutte le parti sociali”.
Ne è convinto padre Francesco Occhetta, che nel numero in uscita de “La Civiltà Cattolica” ricostruisce la vicenda dell’Ilva di Taranto e rilancia l’impegno di “bonifica culturale” del territorio avviata dalla diocesi pugliese, urgente quanto quella ambientale. Occhetta ripercorre la parabola dell’acciaieria più grande d’Europa, dalla posa della prima pietra nel 1960 alla crescita dell’inquinamento legato alle sostanze inquinanti emesse e alla prima denuncia nel 1982; dai primi accordi di programma (2002-2003) tra Stato, Regione, Governo e parti sociali, volti a bonificare la zona e ignorati dai proprietari della fabbrica, alla crisi del 2012 con l’ordinanza di sequestro dell’area a caldo e gli arresti domiciliari per otto dirigenti. Intanto i cittadini si dividono tra oppositori della magistratura e sostenitori della chiusura della fabbrica. Occhetta richiama il Protocollo di intesa, firmato dalla Regione Puglia, dai Ministeri interessati e dal commissario del porto di Taranto per “Interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto” del 2012 e lo stanziamento di 336 milioni di euro.
Poco dopo, tuttavia, una seconda Autorizzazione integrata ambientale consente all’Ilva di produrre. Da un lato le scelte degli ultimi tre governi a favore della produzione, dall’altro le sentenze della magistratura che ha più volte bloccato la vendita dell’acciaio e l’avvio, nel 2013, di una procedura di infrazione contro l’Italia da parte della Commissione europea. In questa bufera il gesuita ricorda l’annuncio, nel 20111, di monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, dell’intenzione della Curia di rinunciare alle offerte dell’Ilva, operando così un taglio netto con il passato. “La diocesi di Taranto continua il suo impegno verso una ‘bonifica culturale’ del territorio”, prosegue Occhetta. Tra gli strumenti adottati, “il laboratorio di idee e di azioni concrete della Commissione diocesana per la salvaguardia del creato”, un “modello di mediazione civile sperimentato dalla Chiesa tedesca insieme all’intera classe dirigente per aiutare a guardare al futuro dei territori che si abitano”. Nell’ultimo ventennio le emissioni nocive sono aumentate del 30%, denuncia il gesuita, eppure le industrie “virtuose” esistono: come la Voest Alpine di Lienz, le acciaierie coreane Posco, il processo Corex, esempi di sviluppo industriale ed economia ecocompatibile. La sfida, “complessa quanto ineludibile”, è “sanare il conflitto e spronare le coscienze.
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