Le ultime e, persino, volgari vicende di corruzione pubblica scoperte e denunciate inducono a una riflessione di fondo. Come è possibile che per anni un funzionario infedele (caso Anas) abbia potuto ricevere nel proprio ufficio aperto al pubblico i datori di tangente, senza suscitare il minimo sospetto nei colleghi e nei concorrenti alle gare? Come è possibile che centinaia di impiegati pubblici (caso Sanremo) abbiano potuto sfrontatamente esibirsi nello sport dell’assenteismo programmato, senza che un dirigente, un collega, un cittadino abbia protestato?
Le domande resteranno certamente inevase, ma ci inducono a dire che non si uscirà da questa spirale della corruzione diffusa se non attraverso un semplice esercizio del proprio diritto di cittadinanza. Più volte i nostri stessi vescovi hanno evocato le virtù e la generosità del “popolo degli onesti” che manda avanti con fatica questo Paese. Forse a quegli onesti ora tocca la responsabilità di alzare la voce, di chiedere e pretendere onestà, di segnalare e denunciare quanto vedono senza timore di ritorsione e di guai giudiziari.
Niente ghigliottine pubbliche, per carità, ma per quanto tempo gli onesti potranno subire la tassa occulta della corruzione?
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