ospedaleDi Fabio Mandato

Una bella sorpresa via Facebook: “Sono trascorsi 12 giorni dall’espianto e trapianto del rene da p. Mario a p. Raffaele e ringraziamo il Signore per come sono andate le cose. Così pure ringraziamo tutte le comunità, tutta la famiglia oblata e tutti gli amici che hanno sostenuto con la preghiera e l’affetto i due nostri fratelli. Un grazie del tutto particolare a tutti gli oblati che sono passati a trovarli. Il decorso post-operatorio procede nel migliore dei modi : p. Raffaele riporta dei valori ottimali della funzionalità renale, a p. Mario è sorta qualche difficoltà in seguito all’intervento in laparoscopia che ha causato un’infezione locale ma sta rientrando. Credo che quest’evento segni il nostro cammino oblato, nella crescita di fraternità e condivisione. Benediciamo il Signore. p. Aldo D’Ottavio, vicario provinciale per l’Italia (19 ottobre 2015)”. Così Facebook si trasforma in un bollettino medico, ma racconta una vera e propria “famiglia”, protagonista di un evento di solidarietà e amore. Una storia di donazione che arriva da padre Raffaele Grasso e padre Mario Camarda, due sacerdoti della Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata (Omi). Il 7 ottobre padre Camarda ha donato un rene a padre Grasso.

“Te lo do io un rene”. Una proposta fatta col cuore, attorno a una mensa. Padre Raffaele, che già nel 2000 aveva ricevuto un trapianto, poi andato male, attendeva da tempo che il telefono squillasse da Cisanello di Pisa per la nuova operazione. Dieci anni di dialisi sono tanti, indeboliscono, condizionano la vita di ogni giorno. Così padre Mario ha sentito di “doversi fare ancora più fratello”. “Te lo do io il rene!”. I due si conoscono dal 1975, sono stati compagni di cammino verso il sacerdozio. “Ricordo durante lo scolasticato che ci dicevano: ‘Siete pronti a dare la vita gli uni per gli altri?’ Ecco, io ho dato solo un rene”, riflette padre Mario. “Pensaci, riflettici, pregaci”, gli aveva chiesto padre Raffaele. “Ho deciso di farlo: se si può dare una vita diversa, lenire le sofferenze di padre Raffaele, perché non aiutarlo?”, racconta padre Mario.

L’attesa. Non essendo consanguinei, padre Grasso e padre Camarda hanno dovuto attendere il parere del Tribunale di Pisa prima di procedere alle analisi mediche e all’eventuale trapianto. Solo dopo 9 mesi i giudici si sono espressi positivamente e sono iniziate le prescritte prove di compatibilità anche attraverso il “cross match”: in sostanza, contemporaneamente sono stati monitorati i reni di diversi possibili donatori. Alla fine, quello di padre Mario è risultato il più compatibile.

Fratelli.
Proprio come fratelli, proprio come consanguinei. Perché nel cuore della Congregazione oblata c’è forte la certezza di essere famiglia, e di esserlo verso chiunque e per chiunque. Ecco perché il “bollettino”, come una piccola circolare, passa attraverso i social, perché tutti i componenti, consacrati e laici, della comunità Omi, possano “abbracciare” quanto accade. “È una storia condivisa da tutta la Provincia d’Italia e di Spagna e nelle terre di missione”, chiosa padre Mario, che è ancora in ospedale a causa di qualche intoppo nel drenaggio renale.

Il dono. Nelle pieghe della vicenda, padre Mario “legge” una protezione particolare, quella della Madonna di Pompei. L’operazione, infatti, è avvenuta proprio il 7 ottobre, giorno a cui la fraternità oblata è particolarmente legata. “Anche per questo, in quella sala operatoria, ci siamo sentiti ancora più uniti, ancora più famiglia”. Da parte di padre Raffaele, la gioia e la riconoscenza sono grandi: “Al di là di me, la cosa importante è quella che ha fatto padre Mario, che si è offerto liberamente e con coraggio. Questo è il fatto ‘grosso’ – dice con netto accenno partenopeo – ricevere un organo è un po’ come tornare alla vita”. Un’occasione “per ribadire l’importanza del dono e, in particolare, per sensibilizzare alla donazione degli organi”.

Nuova missione. Adesso padre Raffaele sta compiendo il decorso operatorio in una casa di accoglienza a due passi da Cisanello, dove è sottoposto ai controlli di routine. È missionario, abituato ad andare di qua e di là, secondo il carisma della congregazione, secondo la proposta del fondatore, Sant’Eugenio de Mazenod. Ora, però, i medici gli hanno consigliato riposo assoluto. Lui lo sa, non vuole affrettare i tempi, i suoi giovani, che guida da anni, pazienteranno un po’: “Adesso devo gestire un dono che è frutto dell’atto d’amore di un confratello”. Per ora, è questa la sua missione.

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