Papa Francesco ha concluso il Sinodo sulla famiglia invitando i 270 padri sinodali a “tornare a camminare insieme”. Se la Chiesa – come aveva detto nel suo discorso commemorativo del 50° anniversario del Sinodo dei vescovi – è “synodos”, il Sinodo “non significa aver concluso tutti i temi inerenti la famiglia” o “aver trovato soluzioni esaurienti a tutte le difficoltà e ai dubbi”. Significa, invece, “aver sollecitato tutti a comprendere l’importanza dell’istituzione della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana”. “Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore”. Nel discorso di chiusura dell’assemblea, Francesco ha insistito sul legame tra il Sinodo e l’imminente Giubileo e ha citato i suoi predecessori – Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI – per ricordare che è lo Spirito Santo “il vero protagonista e artefice”: dopo tre settimane di ascolto e confronto, “per tutti la parola famiglia non suona più come prima”. La Relazione finale del Sinodo, ha reso noto padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede nell’ultimo briefing sui lavori, è stata approvata “con una maggioranza estremamente ampia” e ha ricevuto in ognuno dei 94 paragrafi – a differenza di quanto era avvenuto l’anno scorso – la maggioranza qualificata dei due terzi, che sui 265 padri sinodali presenti era pari a 177 voti. Non sono mancati paragrafi particolarmente controversi, già oggetto di vivace dibattito al Sinodo, come i numeri 84-85-86 che affrontano la questione dei divorziati risposati all’interno delle “situazioni complesse” delle famiglie.
“Che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia?”, si è chiesto il Papa: “Significa aver ascoltato e fatto ascoltare le voci delle famiglie”, una delle risposte: “Significa aver dato prova della vivacità della Chiesa cattolica, che non ha paura di scuotere le coscienze anestetizzate o di sporcarsi le mani discutendo animatamente e francamente sulla famiglia. Significa aver testimoniato a tutti che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole indottrinarlo in pietre morte da scagliare contro gli altri. Significa aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori”.
“Superare l’ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile”. È uno dei tratti del Sinodo, in cui “le opinioni diverse si sono espresse liberamente, e purtroppo talvolta con metodo non del tutto benevoli”. “La sfida che abbiamo davanti è sempre la stessa”, ha detto Francesco: “Annunciare il Vangelo all’uomo di oggi, difendendo la famiglia da tutti gli attacchi ideologici e individualistici”. Senza, però, “mai cadere nel pericolo del relativismo oppure di demonizzare gli altri”, ma cercando “di abbracciare pienamente e coraggiosamente la bontà e la misericordia di Dio che supera i nostri calcoli umani e che non desidera altro che tutti gli uomini siamo salvati”.
“Discernimento e integrazione”: sono le due parole d’ordine della relazione finale. “I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo”, si legge nella terza parte del documento, dedicata alle “situazioni complesse” delle famiglie. “La logica dell’integrazione – si spiega nel testo – è la chiave del loro accompagnamento pastorale. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle”, e “la loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate”. Una “integrazione”, questa, “necessaria pure per la cura e l’educazione cristiane dei loro figli”. Per il “discernimento”, il documento citato è la Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II, dove si esortano i sacerdoti ad “accompagnare le persone secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del vescovo”. Nei confronti delle persone con tendenza omosessuale, si ribadisce che “ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale”, va “rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni ingiusta discriminazione” e si rinnova il no ai “progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali”. Su matrimoni civili o unioni di fatto si può crescere verso la “stabilità”, “tolleranza zero” su violenze in famiglia e abusi sessuali sui minori.
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