“In fin dei conti è solo una questione di volontà” dice il chirurgo arabo-israeliano Ahmed Eid che all’ospedale Hadassah di Gerusalemme cura le vittime della violenza che si è riaccesa rabbiosa in Medio Oriente.
“Arabi e israeliani, ebrei, musulmani e cristiani, qui siamo tutti accomunati dalla missione di salvare vite, controlliamo le nostre opinioni e cooperiamo per aiutare il prossimo, senza chiederci chi è, cosa ha fatto o chi l’ha ferito”. Così il medico riassume il suo impegno e quello dei suoi collaboratori.
Il richiamo all’etica professionale diventa quasi un appello umanitario che va oltre un ospedale e si rivolge agli attori di una tragedia che non sono solo quanti si scontrano, si feriscono e si uccidono faccia a faccia.
Da un chirurgo di 65 anni vengono la proposta e l’indicazione di una strada di umanità in un’area di conflitto che coinvolge drammaticamente la Terra Santa.
Non arrivano sempre a indicare questa strada la politica, le istituzioni nazionali e internazionali e, ancor meno, le ideologie, ma vi arriva un medico che si trova ogni giorno di fronte a gravi ferite visibili che, egli ben sa, sono conseguenza di ancor più gravi ferite invisibili.
Così il suo curare si trasforma in una duplice domanda: perché colpire, fino a quando colpire?
Ahmed Eid, come altri che nel mondo operano in situazioni drammatiche, non intende però essere un personaggio solitario che tenta di ricucire gli strappi del tessuto umano. C’è, infatti, qualcosa di più da scoprire nel suo dire: “È solo una questione di volontà”. La scienza, quando è guidata da una volontà di bene, precede la politica e la cultura nell’affermazione e nella tutela della vita umana e della dignità della persona. Ahmed Eid lo afferma in un ospedale e la sua voce va oltre, raggiunge un’opinione pubblica che spinta dai media rischia di ridurlo a un don Chisciotte moderno. Ma non è così.
Il medico arabo-israeliano in nome della coerenza professionale interroga e inquieta ebrei, mussulmani, cristiani che sono fuori dalle sale operatorie e li invita a rispondere all’angoscia di quanti sono straziati dalla violenza.
Ahmed Eid diventa una voce che prova a parlare al mondo.
Con il suo linguaggio, fatto dalle parole e dai gesti della scienza, invita a comprendere il significato ultimo del dialogo tra uomo, fede e scienza. Aiuta a comprendere che nell’alleanza tra diversità e autonomie di responsabilità si costruisce un’alternativa allo scontro, al rifiuto, alla sopraffazione.
Non è il solo a indicare questo percorso e non si illude di mantenerlo aperto perché sa di non avere la forza e neppure l’autorità. Sa però che, in una situazione drammatica, occorre almeno tenere accesa una fiammella di umanità dentro un ospedale perché possa poi espandersi nel mondo.
E così la sua affermazione “è solo una questione di volontà” assume un significato alto e provocatorio, si leva come un monito a quanti a diversi livelli hanno la responsabilità di scegliere tra le strade della pace e quelle del conflitto, quelle della giustizia e quelle della sopraffazione.
Ahmed Eid va oltre e lascia chiaramente intuire che la volontà di cui parla ha radici nel pensiero, nella coscienza, nella speranza di ogni uomo.
Parole impegnative e forse questa è una notizia talmente piccola da perdersi nella grande tragedia che si sta consumando in Medio Oriente. A chi è ai bordi della cronaca appare come il segno di un’umanità che, nonostante tutto, c’è e consente di sperare.