Bibihal Uzbeki ha 105 anni, ha attraversato due secoli e visto forse quanto nessuno vorrebbe mai vedere e vivere. In un Paese continuamente invaso dalle superpotenze, dove i talebani stanno di nuovo seminando il terrore e le bombe (nemmeno quelle degli americani) non risparmiano nessuno. L’anno scorso le vittime del conflitto sono salite a 10mila. La nonnina non si è arresa al suo destino. La sua città, Kunduz, è la stessa dove giorni fa un raid aereo sciagurato ha ucciso trenta civili nell’ospedale di Medici senza frontiere. Ha indossato i suoi vestiti migliori – il fazzoletto verde in testa e una gonna a fiori, codice tradizionale che rispecchia l’islam moderato che non prevede il burqa imposto dai talebani – e ha deciso di affrontare lo stesso un viaggio lungo e rischiosissimo, attraverso la Turchia, la Serbia e ora la Croazia. Una impresa faticosa per chiunque, figurarsi alla sua età, tra montagne, deserti, mari. Insieme a lei un figlio di 67 anni e una quindicina di parenti, tra cui un nipote di 19 anni, che nei momenti più difficili si è caricato sulle spalle la nonna.
Come non pensare all’immagine mitologica – poi ritratta magistralmente anche da Raffaello e Bernini – di Enea che porta sulle spalle il padre Anchise, in fuga dall’incendio di Troia? Bibihal è arrivata insieme ad altri 10mila profughi, in tutta Europa ne sono entrati quest’anno oltre 700mila, di cui 550mila dal corridoio balcanico che porta i profughi in fuga dalle guerre in Siria, Afghanistan e Iraq. La prima preoccupazione di Bibihal, appena accolta dai volontari, è stata per i bambini: “Indosso quattro paia di calze e ho freddo, figuriamoci loro che camminano scalzi”. Nonni e nipoti uniti nello stesso destino obbligato: la fuga. Come negli esodi biblici, oggi si sta incendiando il mondo. Il sogno di una vita migliore e in pace di chi fugge dalla disperazione non ha età, né epoche storiche, perché la storia non fa sconti a nessuno. È ora di prenderne coscienza.