“Santa Teresa ha passato qui metà della sua vita. Qui si sente che lei è viva. La reliquia più preziosa ce l’abbiamo noi”. Madre Carmen de Jesus, priora qui da tre anni, non ha dubbi. Con un sorriso denso di vivace e disarmante serenità, ci accoglie dove agli altri visitatori è interdetto entrare. Il pellegrinaggio ad Avila, con cui si è concluso il quinto Convegno internazionale organizzato dalla Fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI all’Università Francisco de Vitoria di Madrid in occasione del quinto centenario della nascita di Santa Teresa d’Avila, culmina nella visita al Monastero dell’Incarnazione. È un privilegio raro, poter varcare la soglia della clausura: ci riusciamo grazie alla presenza tra noi del vescovo di Avila, monsignor Jesus Garcia Burrillo. L’atmosfera della cittadina dalle torri fortificate, 1.100 metri sul livello del mare a Nord Ovest di Madrid, risuona ancora dei passi del milione di pellegrini che hanno scelto Avila come mèta di questo speciale anno teresiano conclusosi il 15 ottobre, giorno della nascita di Teresa de Ahumada.
Amicizia. Come quella tra Teresa d’Avila e San Giovanni della Croce, insieme al quale Teresa fonda a Duruelo, vicino ad Avila, il primo convento di Carmelitani scalzi. La prima cosa che vediamo nel Monastero dell’Incarnazione è il cosiddetto “parlatorio della Trinità”, dove i due santi disquisivano su questo ed altri temi separati solo dalla grande grata di ferro. Poco più in là, c’è la chiesa con il coro originale dove Teresa pregava con le sue consorelle e poi la cella che è stata la sua abitazione per 27 anni, prima di approdare a San José – il primo Carmelo riformato – e tornare 9 anni dopo per restarvi come priora per altri tre. Il pavimento di cotto come letto, un piccolo tavolo di legno dove poter scrivere, una cucina allestita su un piccolo camminamento sopraelevato con un camino, un mortaio e un otre: meno di 10 metri quadrati in tutto. Così diversi dalla camera da letto da rampolla di nobile e ricca famiglia – letto a baldacchino, poltrona cremisi, scrivania con penna piumata e calamaio, braciere attorno a cui scaldarsi nelle sere d’inverno, marmi policromi alle pareti e bassorilievi sul soffitto a volte – attorno alla quale è stata ora costruito il Museo dedicato a Santa Teresa, con chiesa annessa, che abbiamo visitato.
Determinazione. Parola che descrive bene la tenacia e l’audacia di una ragazza che entra a 20 anni in questo convento e dedica tutta la sua vita al sogno di riformare il Carmelo riportandolo al rigore delle origini. Nella stanza molto più ampia ma altrettanto sobria che Teresa ha abitato una volta divenuta priora, c’è una grande iscrizione che riporta il celebre passo del “Libro de la Vida” sull’estasi raffigurata dal Bernini a Santa Maria della Vittoria: “Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto”, scrive Teresa per descrivere l’effetto provocato dal dardo d’oro infuocato scagliato dall’angelo nel suo cuore. Determinazione è anche diritto di parola di una donna che parla di “corpo” e di “cuore” in termini inauditi per l’epoca. Ma c’è anche la fine ironia di Teresa, al termine del brano: ce lo fa notare suor Maria Josefa, la superiora, leggendolo a voce alta: “È un idillio così soave quello che si svolge tra l’anima e Dio, che io supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che io mento”.
Umanità. Come scrittrice, parte dall’esperienza vissuta. Come maestra di preghiera – “forza che cambia il mondo” come recita il tema del Convegno della Fondazione Ratzinger, dove la spiritualità teresiana è risuonata in tutte le sue sfumature – parte dalla relazione con l’umanità di Cristo. Per Teresa la preghiera è vita, e la vita è la relazione personale con la “carne” del Cristo della Passione, oltre che del Gesù Eucaristico. Di umanità trasuda anche il famoso episodio dell’incontro con il “niño”, oggetto di una visione che Teresa ebbe proprio nel Monastero dell’Incarnazione. “Chi sei tu?”, le chiede il bimbo. “Teresa di Gesù”, le risponde Teresa. E il bimbo: “Io sono il Gesù di Teresa”. “Potrebbe fare la stessa domanda anche a te”, avverte suor Maria Josefa. Sono 30 le carmelitane scalze che vivono qui, 20 a San Josè. Di certo, come Teresa, possono godere della protezione della “Virgen de la Clemencia”: quando è ritornata qui da priora, per sedare l’opposizione delle consorelle e di gran parte della città ha deciso di collocare la statua della Madonna sulla sedia del trono: “È lei la vera priora del convento, io sono la sua serva”.
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