Il punto di vista è sostanzialmente diverso. L’Europa guarda alle migrazioni provenienti dall’Africa e dall’Asia come a una sorta di minaccia e a un costo sociale da imporre ai suoi cittadini, con l’aggiunta di elementi legati alla tenuta delle frontiere esterne e alla sicurezza interna. Dunque perché aprire le porte?
L’Africa, dal canto suo, vede l’emigrazione come una prospettiva pressoché necessaria per alleggerire le pressioni demografiche interne che si pongono in relazione alla carenza di sviluppo economico, alle povertà (materiali e immateriali, come ad esempio quelle educative) e all’instabilità politica; inoltre i migranti diventano una fonte utile di rimesse finanziarie. Quindi perché sbarrare le porte?
Distanze abissali. Il summit Ue-Africa, svoltosi l’11 e 12 novembre alla Valletta, capitale maltese (isola-simbolo dei flussi migratori tra i due continenti, come lo sono l’italiana Lampedusa e, sul fronte mediorientale, la greca Lesbo), ha messo in luce distanze abissali.Eppure – è questo il messaggio che si vorrebbe comunicare – si tratta di distanze da colmare, per il bene reciproco.I temi incrociatisi negli interventi delle oltre 60 delegazioni presenti – i 28 dell’Ue, un buon numero di Stati dell’Unione africana, l’Onu e altre organizzazioni internazionali – hanno posto in luce le urgenze umanitarie (salvataggi in mare, lotta alla tratta, accoglienza di chi fugge da fame e guerra) e quelle politico-economiche (frenare le partenze mediante aiuti allo sviluppo, controllo delle frontiere e del mar Mediterraneo, favorire i rimpatri di chi non ha diritto all’asilo, prospettare canali privilegiati per migrazioni regolari e controllate…). Sullo sfondo gli europei hanno portato con sé un’opinione pubblica tutt’altro che favorevole ai flussi, governi che si oppongono alla solidarietà europea (basta vedere la fatica dei ricollocamenti di 160mila profughi da Grecia e Italia verso il resto dell’Unione), la creazione di nuove barriere (dopo quelle ungheresi e croate, ora anche in Slovenia), i dubbi sull’accoglienza senza limiti che si registrano in Germania e in Svezia.
Affrontare le cause delle migrazioni. Donald Tusk chiudendo il vertice non ha rinunciato a elencare qualche elemento positivo: a La Valletta è stato infatti siglato un piano d’azione per una collaborazione rafforzata fra le due sponde del Mediterraneo. Cinque gli ambiziosi obiettivi illustrati dal presidente del Consiglio europeo: far fronte alle cause profonde della migrazione; rafforzare la cooperazione sulla migrazione legale; assicurare la protezione delle persone migranti; prevenire la tratta di esseri umani; assicurare il ritorno in Africa di chi non ha il diritto di rimanere in Europa. Lo stesso Tusk ha aggiunto: “Ci siamo inoltre accordati su una lunga serie di azioni concrete da realizzare da qui alla fine del 2016”. Fra queste, la “creazione di posti di lavoro nei Paesi d’origine e di transito”, il raddoppio di borse di studio per giovani e ricercatori africani, iniziative congiunte per la lotta ai trafficanti di esseri umani.Sul rientro dei “migranti economici”, che dunque non avrebbero diritto alla protezione internazionale, i leader africani hanno invece mostrato scarsa disponibilità.Nella capitale maltese è stato anche varato il “Fondo fiduciario d’emergenza” per “la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare”. Un miliardo e 800 milioni di euro da investire per “far crescere l’Africa” e così “creare un’alternativa alle migrazioni”. Il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, che gestirà materialmente il fondo (foraggiato per la massima parte dal bilancio Ue e da donazioni di qualche Stato), ha spiegato in proposito: “Grazie alla cooperazione allo sviluppo, l’Unione europea contribuisce alla lotta contro le cause profonde della povertà e dell’immigrazione. Oggi compiamo un altro passo avanti”. In effetti l’Ue porta così a quasi 20 miliardi gli investimenti già stanziati o promessi per l’Africa.
Un piccolo tassello. La Valletta certo non risolverà i problemi migratori, ma può considerarsi un altro piccolo tassello di una strategia che va definendosi giorno per giorno, non senza passi indietro, equivoci, chiusure egoistiche. Lo sguardo verso l’Africa non può peraltro bastare, visto il rafforzarsi dei flussi – sospinti dalla povertà, da regimi traballanti e dalle violenze dell’Isis – verificatisi negli ultimi mesi fra Asia, Turchia e “corridoio balcanico”. Altri capitoli, questi, dello stesso esodo biblico che approda ogni giorno in Europa. Inarrestabile, forse, ma non ingestibile.