“Atrocità intollerabili e mai giustificate”. È fermo monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, nel commentare gli attentati del 13 novembre a Parigi. Gli abbiamo chiesto una riflessione su quanto avvenuto in Francia, sulle reazioni che ne sono scaturite e sugli scenari futuri.
Eccellenza, un altro attentato nel cuore dell’Europa. Qual è il suo commento a quanto avvenuto a Parigi?
“Siamo rimasti commossi e sgomenti, come ha detto anche il Santo Padre Francesco. In queste ore siamo vicini ai familiari delle vittime, ai feriti, alla Francia e anche a tutte le persone che in altri atti terroristici hanno perso i loro cari. Di fronte a queste atrocità, sempre intollerabili e mai giustificate, il mondo intero deve unirsi per salvaguardare la dignità della persona umana”.
Papa Francesco, parlando con Tv2000, all’indomani degli attentati, ha detto che quanto avvenuto è un pezzo della “terza guerra mondiale a pezzi”…
“Il Santo Padre ha usato quest’espressione per descrivere, giustamente, il dramma che vive l’umanità in questi ultimi anni. Sono tante le parti coinvolte nei conflitti, sono tante le aree geografiche che soffrono le conseguenze della guerra, sono tante le culture e i Paesi che piangono i loro figli.
Non dobbiamo dimenticare un’altra caratteristica di questa cosiddetta ‘terza guerra mondiale a pezzi’: il suo campo di battaglia è un mondo globalizzato, dove perfino i conflitti locali e regionali hanno la capacità di estendersi con più forza e rapidità, provocando danni enormi a tutta la comunità mondiale”.
E come comportarsi all’interno dei propri confini? In Francia, ad esempio, il “nemico” era nel Paese. È possibile difendersi? E come? È auspicabile o, comunque sia, giustificabile l’intervento militare?
“Lo Stato, all’interno delle frontiere nazionali, ha l’obbligo di proteggere i suoi cittadini dagli attacchi e dalla presenza terroristica. L’intervento all’estero, invece, deve cercare la legittimità attraverso il consenso della Comunità internazionale a norma del diritto internazionale. Tuttavia, si è visto con chiarezza che non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare.
In questo momento la Comunità internazionale deve unirsi, mobilitare tutti i mezzi di sicurezza, per opporsi al terrorismo.
Senza un’unità d’intenti di tutti gli attori politici e religiosi, questa lotta non sarà possibile”.
La posizione della Santa Sede verso lo Stato islamico è chiara: “Non è possibile dialogare”. Cosa fare, dunque? Ci può essere una diplomazia con dei fanatici?
“La Santa Sede considera, in via generale, che la via per risolvere le controversie e le difficoltà deve essere sempre quella del dialogo e del negoziato. La soluzione dei conflitti, che vanno affrontati in modo globale e regionale, non è quella dello scontro. Ciò richiede decisioni coraggiose per il bene di tutti, ma è la strada maestra che conduce alla pace. La diplomazia pontificia promuove questi valori, esortando tutti, a diversi livelli, dai Capi di Stato ai semplici fedeli e agli uomini di buona volontà, a essere artigiani della pace, compiendo con paziente perseveranza scelte di dialogo e di riconciliazione e gesti concreti per costruire la pace. In questo caso, ci possiamo domandare: come è possibile dialogare con chi non è sensibile al dialogo e rifiuta di conoscere l’umanità dell’altro? Com’è possibile dialogare quando ci sono posizioni fondamentaliste? In questo momento particolare
vedo il dialogo molto difficile perché per dialogare si deve entrare in relazione con l’altro, si deve rispettare, anche minimamente, l’altro”.
In questo contesto che ruolo possono giocare i leader musulmani responsabili?
“I leader religiosi ebrei, cristiani e musulmani, possono e devono svolgere un ruolo fondamentale nel favorire sia il dialogo interreligioso e interculturale che l’educazione alla reciproca comprensione. Oggi penso ci sia una particolare responsabilità dei leader religiosi musulmani nel denunciare chiaramente la strumentalizzazione della religione per giustificare la violenza”.