Stefano ha compiuto ieri 12 anni, Paola ne ha 19. Valentina 15, Filippo 13 a fine anno e Giulia appena 9. I miei nipoti sono il futuro della mia famiglia. Ogni bimbo lo è per la sua. Nello sguardo di ogni bambino ci sono tutte le attese del domani, del mondo che verrà, di ciò che suo padre e sua madre sono stati capaci di costruire e consegnare. I giorni drammatici che hanno riacceso da Parigi la paura e la rabbia nell’Occidente non possono essere ridotti solo al sangue versato, alla pietà per le vittime e alla lotta al terrorismo di qualunque matrice sia e nemmeno al tema dell’identità e della civiltà cristiana o a quei valori di libertà e democrazia che sentiamo messi in discussione. Inevitabilmente Parigi interroga il nostro vivere quotidiano, i gesti che facciamo, lo stile che fa di noi dei cittadini liberi e coscienti e soprattutto interpella il futuro.
Oltre l’emozione. Tento allora, se possibile, per un momento, di andare oltre l’emozione e le ansie del presente e mi chiedo se anche la generazione di coloro che oggi hanno 40/50 anni non abbia fallito anch’essa l’impresa di migliorare, almeno di un poco, il mondo, come forse aveva fallito la generazione che nel ‘68 aveva fatto di questo impegno un’ideologia e una visione politica. Premesso che di per sé ogni fallimento contiene già, di fatto, la sfida di domani, non intendo smettere di credere che dobbiamo continuare a fare del nostro meglio perché qualcosa di bello accada nonostante tutto. La realtà dei morti di Parigi e di ogni strage, però, non ci fa stare tranquilli. Direi, allora, che il primo fallimento è educativo. Molti degli attentatori erano ragazzi francesi.
Immigrati di seconda e terza generazione. Che dire? Non abbiamo fatto abbastanza.
Non siamo stati capaci di appassionarli alla bellezza del rispetto degli altri, alla necessità di confrontarsi con la diversità. Abbiamo forse pensato che per farli diventare come noi sarebbe bastato togliere Dio dalla loro vita. Non ci hanno creduto e qualcuno li ha attratti, plagiati, traditi. Ci si sono rivoltati contro.
Hanno scelto un’altra strada. Quella della violenza, della vendetta. Sono diventati degli assassini. La loro responsabilità è grande, e la nostra? Vincere il terrorismo di oggi significa ripartire dai bambini. Francesi, italiani, stranieri che siano, stanno adesso a scuola, nei quartieri, magari negli oratori anche se islamici. Che facciamo? Perderne uno potrebbe essere letale tra 10 o 20 anni. Non possiamo più permettercelo. Il secondo fallimento è di tipo geopolitico.
Troppe scelte politiche sbagliate si sono susseguite. Chi ne sa guarda alle spartizioni del Medio Oriente da parte di francesi e inglesi al tempo della Grande Guerra. E poi? Interessi economici, petrolio, guerre, logiche di potere. Nessun rispetto per i popoli, il loro sviluppo e la loro autodeterminazione. La sfida per chi governa oggi è molto grande e sta oltre il momento presente. Si parla di guerra. Ancora violenza per rispondere alla violenza? E dopo? Quale spazio per il primato della politica? E poi come ridare oggi un po’ di sicurezza ai nostri cittadini? Infine il fallimento del dialogo tra religioni che forse non riesce a decollare davvero.
Se qualcuno usa ancora il nome di Dio per uccidere altri esseri umani significa che non per tutti il vero nome di Dio è la pace.
Nel 1986 ci fu la preghiera ad Assisi delle religioni con Giovanni Paolo II. Ora il Giubileo. La sfida è che dal cuore dell’Europa risuoni la forza della preghiera che cambia i cuori. Il mondo migliore ci attende.