l rischio per una donna di morire per cause legate alla gravidanza ha registrato, in questo ultimo quarto di secolo, una diminuzione pari al 43%. Un risultato certamente positivo, ma ben al di sotto di quanto atteso. Secondo gli obiettivi (“Millenium Goals”) fissati dalle Nazioni Unite e dalla Banca Mondiale, infatti, i tassi di questo tipo di mortalità, nei vari Paesi, sarebbero dovuti diminuire entro il 2015 del 75% rispetto ai dati del 1990. Bicchiere “mezzo pieno”, dunque la strada intrapresa è quella giusta, ma c’è ancora molto cammino da fare. Questo potrebbe essere, in estrema sintesi, il bilancio “consuntivo” degli ultimi 25 anni, a livello mondiale, concernente il rischio per una donna di morire per cause legate alla gravidanza.
Dati incoraggianti. Tradotto in numeri, il tasso di tale rischio ha in effetti registrato, in questo ultimo quarto di secolo, una diminuzione pari al 43%. Questo il quadro globale descritto da uno studio, recentemente pubblicato su The Lancet, realizzato dall’Organizzazione mondiale della sanità, in collaborazione con l’Università del Massachusetts ad Amherst, la Harvard University e l’Università della California a Berkeley. Un risultato certamente positivo, ma ben al di sotto di quanto atteso. Secondo gli obiettivi (“Millenium Goals”) fissati dalle Nazioni Unite e dalla Banca Mondiale, infatti, i tassi di questo tipo di mortalità, nei vari Paesi, sarebbero dovuti diminuire entro il 2015 del 75% rispetto ai dati del 1990. Bicchiere “mezzo pieno”, dunque, e tanto lavoro da completare nel più breve tempo possibile.
Nei paesi in via di sviluppo. Come si può facilmente comprendere, gran parte di questa riduzione avrebbe dovuto essere realizzata nei paesi in via di sviluppo, dove ancora si registrano fortissime differenze da un luogo all’altro. Per avere un termine di paragone, basti pensare che, nello stesso lasso di tempo, nei paesi sviluppati il numero di morti materne per 100mila nati vivi è sceso da 23 a 12 casi, mentre a livello globale la diminuzione è stata da 385 a 216. Più in dettaglio, soltanto nove paesi hanno centrato l’obiettivo del 75% : Bhutan (da 945 a 148), Capo Verde (da 256 a 42), Cambogia (da 1020 a 161), Iran (da 123 a 25), Laos (da 905 a 197), Maldive (da 677 a 68), Mongolia (da 186 a 44), Rwanda (da 1300 a 290) e Timor Est (da 1080 a 215). Molti altri paesi in via di sviluppo hanno invece ancora valori di mortalità materna molto elevata: la media dell’Africa sub-sahariana, ad esempio, è di 546 morti per 100mila nati vivi. Per contro, all’estremo opposto della scala,
vi sono dieci paesi che hanno ormai raggiunto un tasso di mortalità materna inferiore a 5 e, per nostra consolazione, l’Italia figura tra questi, insieme ad Austria, Bielorussia, Repubblica Ceca, Finlandia, Grecia, Islanda, Kuwait, Polonia e Svezia.
Differenze nella decrescita. Lo studio, inoltre, mette in evidenza come anche i tassi di decrescita siano molto differenziati nei vari paesi. In dieci nazioni (Bielorussia, Cambogia, Estonia, Kazakistan, Libano, Mongolia, Polonia, Rwanda, Timor Est e Turchia) la mortalità femminile legata alla gravidanza è stata ridotta ad un tasso annuo compreso fra il 7% e il 5%, mentre, a livello regionale, l’Asia orientale è quella che ha registrato la riduzione media più veloce (5% all’anno). Il tasso minimo di riduzione è stato invece registrato nella regione caraibica (1,8%), dove in alcuni paesi c’è stato addirittura un aumento della mortalità (in Guyana si è passati da 171 a 229 casi e alle Bahamas da 46 ad 80).
Fattori decisivi. “I paesi in via di sviluppo che hanno conseguito i migliori successi – si legge nel rapporto pubblicato su The Lancet – sono quelli che hanno investito di più nella possibilità di accesso alle cure sanitarie”. Il Rwanda, ad esempio, ha puntato sullo sviluppo delle risorse umane, con il reclutamento e la formazione di circa 45mila operatori sanitari, mentre la Cambogia ha fortemente investito in infrastrutture di collegamento e nella costruzione di presidi sanitari.
“Il progresso nella lotta alla mortalità materna – osservano gli autori – passa infatti anche attraverso il miglioramento della situazione in ambiti non strettamente sanitari”.
E’ il caso della Tanzania, dove la difficoltà di raggiungere gli ospedali rappresenta un fattore di primaria importanza, al pari della carenza di educazione sanitaria. Situazione analoga in Bangladesh.
Altri fattori di rilievo per il raggiungimento degli obiettivi prefissati sono l’incidenza di Hiv/Aids e malaria, la presenza di conflitti o crisi umanitarie e le catastrofi naturali. “Per riuscire a raggiungere l’obiettivo di ridurre le morti materne a 70 casi ogni 100mila nati vivi entro il 2030 – concludono i ricercatori – sarà quindi necessaria un’azione urgente per accelerare i progressi, soprattutto nei paesi in cui quella mortalità è ancora molto elevata”.