Dopo Parigi e la blindatura delle frontiere esterne e interne dell’Europa, quali ricadute sulla grave crisi umanitaria dei profughi? Centinaia di migliaia di persone che bussano alle nostre porte non sono improvvisamente scomparse perché non se ne parla più. La maggioranza fugge dagli stessi pericoli che noi temiamo ora: terrorismo e bombe. Sembra un paradosso assurdo eppure con le risoluzioni anti-terrorismo che aboliscono Schengen e la libera circolazione delle persone, moltiplicando i controlli, una Europa già “fortezza” rischia di diventarlo ancora di più, scaricando tensioni e paure su chi ha più bisogno di aiuto e accoglienza: i rifugiati. Senza rendersi conto che chi è disperato cambierà strada e cercherà qualsiasi mezzo pur di salvarsi. Secondo i dati dell’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), quest’anno sono arrivati via mare 836mila persone, soprattutto dalla “rotta balcanica”. Circa 3500 sono morte nel Mediterraneo.
I muri alle frontiere dell’Est. Qualcosa sta già cambiando se le Nazioni Unite, negli ultimi giorni, hanno ravvisato segnali di “segregazione nazionale” nei Paesi balcanici, più restii all’accoglienza. Migliaia di persone provenienti da Pakistan, Sri Lanka, Marocco, Liberia e Repubblica Democratica del Congo sono bloccate alle frontiere di Grecia, Croazia, Serbia. Possono passare solo siriani, afghani, iracheni e palestinesi. Dopo i 175 km di muro tra Ungheria e Serbia, i 30 km tra Bulgaria e Turchia (a cui si dovrebbero aggiungere altri 130 km) e i 10,5 km tra Grecia e Turchia, ora anche la Macedonia ha annunciato la costruzione di un recinzione di 1,5 km alla frontiera con la Grecia, sulle rive del fiume Axios. “Dopo le stragi di Parigi i Paesi dell’est si sentono rafforzati nelle loro convinzioni – denunciano Amnesty international e Human Rights watch – e resistono ancora di più all’idea di partecipare al piano europeo di redistribuzione dei rifugiati”.
Un piano europeo già fallito. Una resistenza che potrebbe diventare controproducente, perché in realtà solo un sistema efficace di controllo e gestione dei flussi, con la redistribuzione sul territorio europeo, garantirebbe al contempo sicurezza e rispetto dei diritti umani. Al contrario, ora rischiano di crearsi maggiori criticità, perché gli “hot spot“ previsti nei porti (5 in Sicilia e 1 in Puglia) ancora non funzionano bene, le persone ricollocate sono pochissime (in Italia 66), chi arriva cerca di aggirare il sistema di Dublino non facendosi registrare all’ingresso, creando un mare di irregolarità dove un eventuale terrorista potrebbe nascondersi, anche se è altamente improbabile che chi è finanziato dall’Isis affronti tutti i rischi dei ”viaggi della speranza”. Nei fatti il piano europeo di redistribuzione dei profughi era già fallito prima di iniziare: la Gran Bretagna presidia l’Eurotunnel e controlla massicciamente le frontiere, l’Austria ha cambiato le regole per le richieste d’asilo (che sarà temporaneo e durerà solo 3 anni), la Germania ha fatto dietrofront all’accoglienza dei siriani, la Slovenia dispone filo spinato alle frontiere con la Croazia. Ora con le richieste della Francia la situazione si complicherà.
Caritas, preoccupati per chiusure ingiustificate. “Siamo preoccupati per gli atteggiamenti di alcuni Paesi in materia di chiusura delle frontiere, ingiustificati rispetto a quello che sta accadendo”, commenta Oliviero Forti, responsabile dell’area immigrazione di Caritas italiana. Le Caritas che intervengono sulla “rotta balcanica” devono capire che tipo di risposta dare in un momento così difficile. “Quello che sta accadendo – osserva – rischia di distogliere risorse e attenzione rispetto ad altri grandi problemi da affrontare”. “E’ la classica reazione di pancia dettata dalla paura – afferma -. Ma questo non è fare politica perché non si sa fare i conti con la storia, con milioni di persone pronte a raggiungere i nostri Paesi”. Inoltre, “tutti sappiamo che i terroristi erano francesi. Il fatto che avessero un’origine straniera non conta, perché dobbiamo abituarci a una società multietnica, nel bene e nel male. Chiunque può cadere nella rete del terrorismo: vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Un esame di coscienza varrebbe la pena farlo”.
Dalle parrocchie italiane “apertura inaspettata”. La Caritas italiana ha registrato, dopo i fatti di Parigi, un incredibile aumento delle richieste di accoglienza dei profughi nelle parrocchie e nelle famiglie. Questa settimana rilancerà il progetto “Un rifugiato a casa mia”, inizialmente previsto per 200 persone e arrivato a 700 un mese fa. “Ci immaginavamo una frenata invece abbiamo raggiunto numeri importanti. Dimostra un disallineamento tra il dibattito politico e mediatico e la percezione della gente: che ha sicuramente paura ma non la collega al tema ‘rifugiati’, nonostante qualcuno tenti di fare una commistione”.
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